cap. 1 ,1-5

Genesi
Cap.1
Traduzione  dal testo ebraico ( masoretico )
1 In principio creò Dio i cieli e la terra
2 E la terra fu informità e vuotezza e tenebra ( era ) su superfici di abisso e spirito di  Dio era agitantesi su superfici delle acque.
3 E disse Dio: Sia luce ! E fu luce
4 E vide Dio la luce che buona (era) e separò Dio tra la luce e tra la tenebra
5 e chiamò Dio la luce giorno e la tenebra chiamò notte. E fu sera e fu mattino: giorno uno.

Traduzione dai Settanta
1 In principio fece Dio il cielo e la terra.
2 Ma la terra era  invisibile e informe. E c’era tenebra al di sopra dell’abisso.
E lo spirito di Dio procedeva al di sopra dell’acqua.
3 E disse Dio: “Ci sia luce”. E ci fu luce.
4 E vide Dio la luce che era bella. E separò Dio da una parte la luce e da una parte la tenebra.
5 E chiamò Dio la luce giorno e la tenebra chiamò notte. E fu sera e fu mattino: giorno uno.

Vulgata

In principio creavit Deus caelum et terram terra autem erat inanis et vacua
1 In principio creò Dio il cielo e la terra. 2 Ma la terra era inconsistente e vuota
et tenebrae super faciem abyssi et spiritus Dei ferebatur super aquas
e tenebre sopra la faccia dell'abisso e lo Spirito di Dio veniva portato sopra le acque
dixitque Deus fiat lux et facta est lux
3 E disse Dio: Sia fatta luce e fu fatta luce.
et vidit Deus lucem quod esset bona et divisit lucem ac tenebras
4 E vide Dio la luce, perché fosse buona e divise luce e tenebre
appellavitque lucem diem et tenebras noctem
5 e chiamò la luce giorno e le tenebre notte
factumque est vespere et mane dies unus
E ciò fu fatto di sera e di mattina: giorno uno.


“1 In principio creò Dio il cielo e la terra.”

In principio, ovvero dapprima, fuori dal tempo, il Padre crea dal nulla, in modo informe, tutta la realtà celeste e terrestre: eterna al pari di Dio, essa non è a Lui coeterna.
Per cielo non si deve intendere questo cielo materiale, che verrà creato il terzo giorno, ma una sorta di materia informe spirituale, da cui deriva tutta la realtà celeste; per terra la materia pura o primordiale, da cui deriva tutto ciò che viene dalla terra o appartiene alla terra.
Ma in che modo Dio creò dapprima il tutto?
Non certo nella sua forma compiuta, Se così fosse non si vedrebbe alcun nesso logico con i versetti successivi, in cui vengono descritti i vari "momenti" o giorni della creazione.
Vi è una creazione "in principio" che è opera esclusiva del Padre e che non conosce ancora l'intervento del Figlio.
I cieli e la terra sono dapprima nel pensiero divino quale realtà assolutamente omogenea, informe, non manifesta.
Nella mente di Dio tutto è presente dall’eternità, in forma caotica, confusa, non organizzata: nel Pensiero è già tutto il pensabile, ma perché Egli possa pensare qualcosa di definito ha bisogno dell’intervento  della ragione, che, nella forma della Parola, crea tutta la realtà celeste e terrestre.
La ragione non può operare se non nel Pensiero, per il Pensiero, con il Pensiero: nel Padre, per il Padre, con il Padre.
E’ il Padre che definisce l’ambito dell’operazione del Figlio, come il pensiero definisce l’ambito della propria ragione.
La ragione non può operare, se non usando la “materia “caotica e informe, che le è offerta dal pensiero.
La ragione dipende dal pensiero non solo quanto alla sua origine o generazione, ma anche quanto all’ambito della sua operazione.
Il pensiero genera la propria ragione, che opera in lui, per lui, con lui.
La Parola o Logos altro non è che la forma assunta dalla Ragione. E’ lei stessa che dà forma a tutte le cose, secondo la Volontà del Padre.
Vi è in Dio una volontà che è Amore, generatrice del Figlio. In virtù di questa stessa Volontà, il Figlio crea tutte le cose , nel Padre e col Padre. Se è vero che il Padre nulla crea senza il Figlio, è altrettanto vero che il Figlio nulla può creare senza la Volontà del Padre.
Il creato procede dal Figlio quanto alla forma, dallo Spirito Santo quanto alla volontà, dal Padre quanto al suo fondamento.
La creazione non è opera semplice, ma complessa. Essa diventa attuale solo nel concorso di tre persone: il Padre o Pensiero,  lo Spirito Santo, ovvero la Volontà non solo generatrice del Figlio,  ma generatrice nel Figlio della Parola creatrice.
Il Figlio è ragione generata rispetto al Padre è Parola creatrice rispetto alla materia informe.
Cos'altro è la Parola se non la forma assunta dalla Ragione, allorché essa opera nella mente divina ( pensiero ), per dare forma al tutto?
La Ragione è assolutamente una quanto alla sua essenza e al suo fondamento, è infinitamente molteplice, quanto alla sua attività creatrice. Può assumere la forma che vuole e dare la forma che vuole. Vi è una sola ragione, o logica, che si manifesta ed opera in forme diverse.
Dal punto di vista concettuale vi è differenza fra pensiero, logica, parola: il pensiero è il fondamento della ragione , la ragione o logica è prodotto di una volontà conforme al pensiero, la parola è la forma assunta dalla ragione allorchè crea. In Dio, ragione  e parola sono legati in maniera necessaria: non c’è ragione che non generi la propria parola, non c’è parola se non come generazione della propria ragione.

“2 Ma la terra era inconsistente e vuota”
Nella mente divina la terra è dapprima inconsistente, ovvero semplice possibilità del pensiero e vuota, ovvero non ancora dispiegata al di fuori della mente, nello spazio fisico. Nella versione dei Settanta troviamo “invisibile e senza arte”. Invisibile è tutto ciò che è all’interno  del pensiero, senz’arte tutto ciò che è pensato confusamente, senza differenziazione di sorta. Più propriamente dovremmo dire che nel Padre non vi è il tutto pensato confusamente ( Dio non pensa in modo confuso ), ma vi è tutto il pensabile, che è in forma confusa.
E’ il Padre che definisce l’ambito dell’operazione divina. Non si può pensare se non ciò che è pensabile e non è pensabile se non ciò che è prodotto dal pensiero in modo informe. La Ragione o Figlio in quanto fondata nel Pensiero divino, e generata  dalla sua Volontà o Spirito Santo,  opera, crea, dà forma nei limiti e nei modi fissati dal Pensiero o Padre.
Ciò non significa, ovviamente, che il Pensiero e la Ragione conoscano in sé e per sè dei limiti, ma che essi si danno dei limiti, allorché dispiegano la propria opera nello spazio e nel tempo. Soltanto della terra e non del cielo è detto che era “inconsistente e vuota”. Il cielo, in quanto realtà puramente spirituale, non conosce le categorie che sono proprie della terra. Non solo: gli angeli nella mente che è il Padre sono creati in modo spiritualmente informe. Sarà il Figlio a dare loro una forma non univoca ma diversa,  creando vere e proprie famiglie o specie di angeli, omogenee l’une alle altre, formate da e con lo stesso spirito, ma non riducibili l’una all’altra, in quanto strutturate in modo diverso. Di queste “schiere” di angeli poco o nulla sappiamo, ma la parola di Dio ribadisce la loro realtà, chiamandole con nomi diversi: Troni, Principati, Potestà, Dominazioni... Ma come immaginare una realtà spirituale creata “in principio” in modo informe?
E’ semplice possibilità del pensiero?  In questo caso sarebbe difficile capire in che senso Dio abbia creato, perché la creazione è già un dato ed un fatto, non più ciò che è semplicemente possibile, e, in quanto tale, ancora suscettibile di revoca o ripensamento. La difficoltà nasce dal fatto che seppur l’uomo usi un’intelligenza che è ad immagine di Dio, a causa del peccato originale si è creata una grave ed insanabile dissociazione nel suo pensiero: si può pensare senza creare: in tutto o in parte. In Dio tutto ciò non è concepibile, nel senso che non esiste un Pensiero che ripensa se stesso, come  soggetto a pentimento, ma un pensiero che mette in atto ciò che ha pensato. Da solo? No, certamente, ma con lo Spirito Santo e secondo la propria Ragione. Perché il Padre non può pensare se non in concorso con lo Spirito Santo, in Lui e con Lui, conforme alla Ragione. E nulla tengono per sé ma tutto mettono nelle mani del Figlio, perché dia una forma, secondo la propria volontà. Ma il Figlio non ha volontà propria che non sia quella del Padre, né Spirito diverso che non sia lo stesso ed unico Spirito. I versetti che seguono ci aiutano ad andare oltre con la nostra intelligenza.

“e tenebre sopra la faccia dell'abisso”
Cosa altro rappresenta l’abisso, se non ciò che è assolutamente inimmaginabile e incomprensibile per la mente umana, in quanto al di fuori della realtà materiale? Esso non si può caratterizzare con nessun attributo, seppur elementare della materia: non occupa spazio, non ha forma esteriore, ma neppure è preordinato per riceverla.
L’abisso è il cielo dei cieli, non ancora illuminato e formato dal Figlio. Nel Padre esso è ancora avvolto dalle tenebre, ha soltanto una sua facies ( volto ): con ciò Genesi vuol dire che esso, come realtà personale, è già presente nella mente del  Padre ab aeterno, ma in modo informe.
Sarà il Figlio a dare agli angeli una forma tipicamente spirituale, non univoca, ma diversa, secondo vari ordini e gradi. Stupenda è l’immagine del salmo:  “L’abisso come una veste è il suo mantello”. ( salmo 103,6 ). E’ il coro degli angeli, che cinge il Figlio come un manto, ovvero l’avvolge come una veste luminosa splendente della sua stessa luce. Ma con ciò non è ancora detto tutto né abbiamo chiarito come possano essere nel Padre creature, ovvero persone senza forma.
Perché è  reale e non una semplice finzione solo l’essere che è cosciente di se stesso e non è cosciente di se stesso se non l’essere che ha già una qualche forma. Ma con ciò siamo già entrati in quello che è il mistero della vita e dobbiamo sfatare alcuni miti e convinzioni assai radicati nella mente umana. 
E’ poi così vero che non può esistere un essere personale come semplice coscienza di sé del tutto informe?  L’unico modo per comprendere è proprio nel confronto fra le creature del cielo e della terra,  unite da Dio nell’unico Spirito,  divise dal peccato dell’uomo. Il nodo cruciale del problema si pone proprio all’inizio, allorché una creatura è concepita.
Si può dire che al momento del concepimento noi siamo già creature? No, secondo la mentalità mondana che viene dal Maligno, sì, secondo la Parola che è verità. Se dobbiamo dare per assodato che è realmente vivo solo l’essere che è cosciente di sé, dobbiamo pur chiarire che si è coscienti in modo e misure diverse. C’è una coscienza in rapporto al Creatore, e c’è una coscienza in rapporto al creato, c’è la coscienza che è posta in un’anima semplice non ancora strutturata e la coscienza che vive in un’anima “cresciuta”. E non si deve confondere la semplice coscienza di sé, con gli attributi dell’anima. Questi sono soggetti a cambiamento, con l’età , lo stato di salute, relativamente alle possibilità di sviluppo offerte dall’esistenza. La coscienza di sé che è all’origine della vita e intorno a cui si gioca il senso della nostra esistenza è  assolutamente semplice, perché fondata nell’assoluta semplicità di Dio.
Ti meravigli perché non puoi comprendere? Ricordati che non l’intelligenza è all’origine della vita, ma la coscienza di sé. E la coscienza di sé non è affatto il frutto e il prodotto dell’intelligenza, come in un processo di autofondazione , ma è creata per e dall’amore di Dio. Povero uomo! Invano scaverai nella tua memoria per poter comprendere! La memoria non è un dato originario, ma un semplice attributo dell’anima. Vuoi concludere che non è reale ciò di cui non c’è memoria? Sei cieco e guida di ciechi. E quale meraviglia se uccidi i bimbi nel grembo materno, tu che non ami e non capisci una vita che è solo in Dio e per Dio? Non comprendi ciò che è all’origine della vita perché non ami la vita e Colui che è l’autore della vita. Tu non riesci a comprendere una coscienza di sé senza gli attributi dell’anima, perché non conosci se non la felicità di una coscienza che è legata alla carne e al sangue e non semplicemente a Dio. Sei un infelice e un condannato all’infelicità, perché non cerchi e non desideri l’unica vera felicità che è solo in Dio e per Dio. Mi dirai che sono discorsi senza senso e che non c’è vita fino a quando non si viene alla luce . Ti risponderò che non sempre si viene alla luce per vivere, ma molte volte si nasce per la morte eterna. E sarebbe meglio rimanere per sempre nel grembo materno, piuttosto che venire alla luce per vivere nelle tenebre. E non credere che non ci sia vita o felicità alcuna in chi è semplicemente concepito e non ancora generato. Se il grembo materno dopo il peccato è un fondamento infelice, felice è una vita concepita da Dio in Dio. E per gli angeli questo concepimento in Dio, nel grembo dello Spirito Santo non conosce certamente la sofferenza, le ambiguità e le contraddizioni di un uomo concepito nel peccato, in un grembo che ha peccato. C’è una gestazione nello Spirito santo che è già pienezza di vita, una pienezza destinata ad accrescersi sempre di più... per venire alla luce. E il venire alla luce non è l’inizio della vita, ma l’inizio di un’altra vita che è nel Figlio e per il Figlio. In una sorta di continuità armonica con ciò che è passato, senza rotture e traumi e nella prospettiva di una felicità ultima e definitiva. Il venire alla luce non è di per sé garanzia di vita eterna, ma innanzitutto la possibilità della vita eterna. Perché se la vita è creata dal nulla,  non si  viene alla luce dal nulla, ma soltanto allorché concepiti nel grembo dello Spirito Santo in virtù del Padre, nelle tenebre: non quelle del peccato, ma quelle che attendono la luce. E sono proprio queste tenebre originari ciò che ci uniscono al Padre e consolidano e rafforzano il rapporto della creatura col Creatore. Perché le tenebre non sono innanzitutto privazione di luce, ma all’inizio sono semplice mancanza di luce: una mancanza del tutto provvisoria che non distacca l’anima dal Padre, semmai la unisce ancor di più al suo Creatore nell’attesa felice della luce che deve venire. Perché il Padre tutto ha creato per il Figlio e gode  allorché vede i suoi figli attendere e desiderare Colui nel quale ha posto ogni suo compiacimento. All’origine non vi è nessun vincolo tra il Padre e le sue creature se non l’attesa della luce. Un’attesa felice, perché si attende un  evento felice. E non c’è fretta. 
E’ un’attesa che non conosce la noia del nostro tempo, ma soltanto la felicità di un tempo spirituale gravido di amore divino. E’ il tempo in cui lo spirito creato cresce per essere più vicino alla luce, e per poterla finalmente comprendere cioè prendere con sé nella consapevolezza di una pienezza che è semplicemente donata e fondata in Colui che si dona. 
“Dio è luce e in Lui non ci sono tenebre”. Non è l’abisso il luogo dove viene precipitato Satana? ( Ap. 20,3 )
Come intendere allora queste tenebre originali?
Il male esiste già nella  mente di Dio, anche  come semplice possibilità dell’essere creato di rimanere senza la luce divina? Lungi da noi pensare tali cose!
Altro è l’abisso destinato a ricevere una forma celeste e spirituale, altro è l’abisso dove fu precipitato Satana. L’uno è immaginato dalla Scrittura come posto al di sopra del cielo, ovvero è il cielo dei cieli, dimora per gli angeli fedeli, l’altro si trova sotto terra, dimora degli angeli ribelli. L’abisso è ricoperto dalle tenebre, ma è fatto per accogliere la luce. Le tenebre non rappresentano ciò che è originario, ma la condizione di ciò che è originario. Altro sono le tenebre veicolo della luce del Figlio, altre sono le tenebre divenute tali dopo il rifiuto della luce. Dove splende la luce, se non nelle tenebre? Come può la fonte luminosa generare la luce, se non nelle tenebre e attraverso le tenebre? Queste tenebre che avvolgono l’abisso indicano la presenza dello Spirito Santo.
Egli non entra nell’abisso come luce, al modo dell’illuminare, ma sta sopra di esso come tenebre, al modo del custodire. Lo Spirito Santo è colui che custodisce la volontà del Padre nel proprio segreto.

“e lo Spirito di Dio veniva portato sopra le acque”.
Da chi veniva portato lo Spirito sopra le acque, se non dal Padre? Mano nella mano..., per generare sopra di esse la luce del Figlio . Le tenebre stanno sull’abisso, in quanto privo di estensione; lo spirito di Dio viene portato sopra le acque, perché infinitamente estensibili, anche se inestese.
Le acque rappresentano la materia priva di qualsiasi attributo particolare: eterna al pari di Dio, anche se non coeterna, assolutamente pura, immota.
È eterno tutto ciò che è creato fuori del tempo, ma dal punto di vista logico si tratta di un’eternità che viene dopo quella del Creatore.
L’acqua non ha forma, ma può assumere qualsiasi forma; è inodore, incolore e insapore, ma può prendere tutti questi attributi in molteplici modi. L’acqua è priva di moto proprio, ma può scorrere in qualsiasi direzione: in orizzontale, dall’alto al basso, dal basso all’alto. Può passare dallo stato liquido a quello aeriforme e a quello solido. E’ materia plastica per eccellenza, con cui tutto si può creare: priva di attributi allo stato puro, può assumere qualsiasi attributo, allorché incorporata in una forma.
Dio creò l’acqua dal nulla, ma dove pose tale materia inconsistente e vuota? Forse che la creò nello spazio? Ma non si dice che prima Iddio abbia creato lo spazio. Forse la creò con lo spazio? Ma se era inconsistente e vuota, ciò significa che era priva di massa e ciò che non ha massa non occupa spazio. Quale altro spazio possiamo immaginare, se non la mente stessa di Dio, in cui sin dall’eternità è presente tutta la creazione, ma in modo del tutto informe ed indifferenziato?
E’ la Ragione come Parola che dà forma in un tempo e col tempo a tutte le “cose informi” create dal Pensiero ab aeterno,  senza tempo .
Nell’uomo la funzione prima della ragione non è quella di creare le cose, ma di distinguerle e di conoscerle, così come sono state fatte: è su questa primitiva funzione conoscitiva che si innesta qualsiasi capacità creativa. Dio crea dal nulla, l’uomo crea soltanto nella misura in cui gli è dato di conoscere il creato. Lo “Spirito di Dio veniva portato sopra le acque”.
Non entra in esse per formarle o per imprimere un movimento, al modo dell'operare, ma  rimane fuori, al modo del contemplare. Come non entra nell'abisso, così non entra nelle acque. Egli è, innanzitutto, colui che custodisce e contempla la volontà del Padre. Ma lo Spirito Santo non è la volontà del Padre soltanto in senso passivo, Egli attua questa volontà attraverso l’eterna generazione del Figlio. Egli è il soffio o lo Spirito che viene portato sopra le acque per far sgorgare in esse la Parola; Egli è le tenebre che avvolgono l’abisso, per far scaturire nei cieli la luce avvolgente del Figlio. Non c'è opera del Figlio che non sia voluta e preparata dallo Spirito Santo.

“3 E disse Dio: Sia fatta luce e fu fatta luce”.
Cos’altro si deve intendere con l’espressione “Dio disse”, se non la potenza creatrice di Dio, che si manifesta attraverso l'atto del parlare? Questo coinvolge dapprima  il Padre, come pensiero non manifesto, poi lo Spirito Santo, come lingua o soffio, che si conforma alla volontà del Padre, poi il Figlio, come Parola manifesta, che procede dal Padre attraverso lo Spirito Santo.
E' nella Parola, con la Parola, per la Parola che le tenebre, ossia tutta la realtà celeste riceve per prima la luce vivificante.
"Poiché per mezzo di Lui, sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: troni dominazioni, principati, potestà: Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui. Egli è prima di tutti e tutte le cose sussistono in Lui." ( Col. 1,6-17 )
Il Figlio è luce di tutti gli esseri intelligenti, messi in grado di risalire dalla luce alla fonte della luce. Non si può andare al Padre, se non attraverso il Figlio: non si può  vedere il Padre se non nel Figlio e col Figlio. Di questa luce non si può dire che fu creata dal nulla a guisa di tutte le cose. In quanto riflesso dell’amore del Padre, che si manifesta nel Figlio, la luce è generata dalla stessa Parola. Nel momento stesso in cui si manifesta la Parola, si manifesta la Sua luce vivificante. Non fu fatta, quasi non fosse da sempre, ma fu fatta perché fosse donata ed illuminasse le tenebre.
Come il sole genera da sé la luce al suo primo apparire, così la Parola genera da sé la propria luce allorché opera nel creato avvolto nelle tenebre.
Altrove la luce viene identificata con la sapienza. La Parola di Dio è luce che indica la via, sapienza che fa conoscere la verità, vita che conduce alla fonte della vita.
"Ogni sapienza viene dal Signore Dio e con Lui fu sempre prima dei tempi. La sabbia del mare e le gocce della pioggia e i giorni del tempo chi li ha contati? Chi ha misurato l'altezza del cielo e la larghezza della terra e la profondità dell'abisso? Chi ha sondato la sapienza di Dio che precede ogni cosa? Prima di tutti fu creata la sapienza e l'intelligenza del pensiero è da sempre. Fonte della sapienza è la Parola di Dio nell'alto dei cieli, e i suoi ingressi sono i comandamenti eterni... Lui stesso l'ha creata con lo Spirito Santo, l'ha guardata, l'ha misurata, l'ha pesata e l'ha effusa sopra le sue opere e sopra ogni carne, secondo il suo dono e l'ha offerta a coloro che lo amano”. ( Sir. 1,1-8 )
Anche nel libro dei Proverbi viene ribadito che la sapienza è prima di tutto il creato. Essa si manifesta alle creature, è loro luce e loro guida,, ma da sempre è presso il Padre. La sapienza è la ragione universale o l'intelligenza del pensiero che dà ordine e forma a tutto ciò che è nella mente divina.
"Il Signore mi ha posseduta, fondamento delle sue vie, prima che facesse qualcosa. Dal principio dell'eternità sono stata ordita e dai tempi antichi, prima che fosse fatta la terra. Non c'erano ancora gli abissi e io già ero stata concepita, né le fonti delle acque erano scaturite, né i monti erano comparsi con la loro mole massiccia. Prima dei colli io venivo partorita; non aveva ancora fatto la terra e i fiumi e i confini del mondo. Allorché preparava i cieli ero presente, quando con legge fissa tracciava un cerchio intorno agli abissi, (creazione del cielo dei cieli), quando fissava di nuovo i cieli (il cielo materiale), e livellava le fonti delle acque, quando stabiliva al mare il suo confine e poneva una legge alle acque perché non oltrepassassero i loro confini. Quando pesava le fondamenta della terra io ero con lui, componendo ogni cosa e mi dilettavo ogni giorno (i giorni della creazione), giocando davanti a lui in ogni tempo.( Prov.8,22-30)

“4 E vide Dio la luce, perché fosse buona”
Dopo il dono della luce, è subito lo sguardo di Dio, che vede per verificare, discernere, giudicare coloro che sono suoi da coloro che suoi non sono: come per gli angeli, così per l'uomo. In quanto riflesso dell'amore del Padre verso il Figlio e viceversa del Figlio verso il Padre questa luce è già buona di per sé e non ha affatto bisogno dello sguardo di Dio per essere tale, semmai è essa stessa che rende buono ogni essere creato.
Vide Dio la luce perché fosse buona e solo buona. Vi è anche una luce che ha parvenza di bene, in realtà è male.
Non c’è luce vera se non quella che tale è riconosciuta dal Padre ed ottiene il suo beneplacito ed il suo benestare.
E’ la prima volta che nelle Scritture compare il concetto di bene. Nonostante tutte le cose create da Dio siano buone, soltanto la luce che è nel Figlio rappresenta il bene primario, non creato, ma generato. Altro è il bene che si riflette nelle cose, altro è il bene che fa buone tutte le cose e che opera e si manifesta, innanzitutto, come luce. Le cose buone ci guidano al bene, in quanto ci rimandano al loro Creatore, la luce del Figlio ci conduce al bene in quanto unica rende possibile la comunione e la visione del bene: è via, verità e vita.
Ma se il bene è la luce , che cosa rappresenta il male, se non ciò che è contrario alla luce, ovvero le tenebre? Sono forse le tenebre in cui splende la luce? Abbiamo già spiegato come le tenebre, create da Dio, e che sono sopra l’abisso, non si possano intendere come il male, ma indichino l’amorosa presenza dello Spirito Santo, premuroso custode della volontà del Padre, pronto a partorire negli abissi e per gli abissi la luce vivificante del Figlio. Allorché la luce splende nelle tenebre, tutti gli abissi vengono illuminati.
Che, all'apparire della luce nessuno possa rimanere nella primitiva tenebra, ancorché buona, è cosa ovvia. Nella luce del Figlio tutte le potenze angeliche ricevono la vita in una forma propria, secondo la volontà di Dio. Ma altro è risplendere di luce propria da sé originata, altro risplendere di luce riflessa. Gli angeli godono della luce del Figlio e di essa si ammantano, ma non sono la luce. Se il male non può esistere in Dio e per Dio, esso può esistere tuttavia nella creatura, come appropriazione indebita della vita divina. Può accadere, cioè, che la creatura, una volta posseduta la vita del Creatore, non riconosca la sua natura fondata: invece di aprirsi al Padre, attraverso l'inno di lode, si rinchiude in una falsa e presunta perfezione, che pretende di essere Dio, escludendo Dio. Fu così che gli angeli divennero demoni: con la loro disobbedienza crearono il male.
Il male, quindi, non è negazione del bene, ma autoprivazione del bene: è reale solo nella creatura e per la creatura. E' espressione e conseguenza di una colpa personale. E' decadimento da uno stato di grazia. All'origine non è rifiuto della vita, ma della vita come dono di Dio. Una prima lettura di Genesi ci porta alla conclusione che il destino degli angeli si giocò tutto semplicemente nel rapporto con la luce.
Possiamo ipotizzare che la natura angelica sia dotata di una vista spirituale in grado di accogliere la luce. Questi occhi spirituali sono guidati dall'intelletto e legati ad una libera volontà, che può volgerli dove vuole. Ma dove si dirigono gli occhi, se non verso ciò che risplende di luce, dal momento che essi nulla vedono senza luce? La scelta ,all'origine, è solo tra luce e luce, tra la luce che è riflessa e la luce che riflette: e in questo è la possibilità del male.
Per gli occhi esistono solo due possibili movimenti direzionali: l'uno rivolto a cercare la fonte della luce, ovvero Colui che irradia la luce stessa, l'altro rivolto alla propria luce, ovvero alla luce riflessa dal proprio corpo. Il primo caso rappresenta la possibilità del bene, il secondo la possibilità del male. Se l'occhio si rivolge alla sorgente della luce, resta come abbagliato: non è più in grado di distogliersi da essa, non distingue più la luce dalla sua fonte, ma è tutto preso dalla visione beatifica di Colui che è fonte della luce, ovvero il Figlio. Ma vedere il Figlio altro non è che vedere il Padre. Nel regno dei cieli non vedremo il Padre e il Figlio come due persone diverse, ma vedremo il Figlio nel Padre, col Padre, perfettamente identico al Padre.
E' impossibile spiegare questa visione spirituale nei termini della vista materiale. Per averne una idea che si adatti alla nostra intelligenza, immaginiamo due figure perfettamente identiche e sovrapposte l'una all'altra di modo che la prima lasci trasparire la seconda. Il risultato non sarà una visione duplice, ma, semplice: vedremo il Padre nel Figlio e parimenti il Figlio nel Padre, come una sola realtà indissolubile, in cui il Figlio è ad immagine del Padre e il Padre è a immagine del Figlio. Il Figlio fa trasparire il Padre in se stesso e il Padre fa vedere il Figlio uguale a se stesso. Come il Padre vede se stesso nel Figlio, così noi vedremo il Padre nel Figlio e col Figlio.
In quanto allo Spirito Santo, Egli non è fatto per essere visto o contemplato, ma per essere posseduto, ovvero è la persona che, abitando in noi, rende possibile la visione di Dio. E' lo Spirito Santo che genera eternamente in noi la luce che ci conduce alla visione di Dio. Lo Spirito Santo è essenzialmente generatore di luce: in Dio e per Dio, in noi e per noi. Innanzitutto è la Luce, eternamente generata dal Padre nel suo rapporto d'amore con lo Spirito Santo, che è il Figlio. Vi è poi la luce come dono di se stesso che il Figlio fa alle sue creature: è la grazia santificante, creata in virtù dello Spirito Santo, che ci conduce alla visione del Padre.
Il Figlio è luce del Padre e luce delle sue creature, ma in modo diverso. In quanto luce  del Padre, il Figlio non si riflette nelle sue creature, ma unicamente nel Padre, di modo che il Figlio vede se stesso nel Padre e il Padre vede se stesso nel Figlio. In Dio soltanto astrattamente possiamo separare la luce dalla sua fonte e da Colui che rende possibile la generazione della luce . Il Padre genera la luce da se stesso, nell'eterno amplesso d'amore che lo lega allo Spirito Santo. In questo possesso o atto d'amore, viene generato il Figlio, conforme alla volontà del Padre, in tutto uguale al Padre.
Per gli esseri razionali creati dal nulla il Figlio non è luce generata, ma colui che genera la luce, ovvero colui che ci conduce attraverso le tenebre al possesso e alla visione di Dio. La luce non si identifica con il Figlio, ma è semplicemente il suo dono di grazia, perché possiamo conoscere il Padre. In quanto dono, è creata dal nulla, come tutte le altre cose, ma ha un significato e una valenza del tutto particolari: è il primo ed immediato  riflesso dell’Amore. Che cosa può creare il Figlio prima di tutto il resto, se non la grazia che ci conduce al Padre? Non è essa diretta “emanazione” del suo amore? Il dono più grande del Figlio, che in virtù di esso ci dà una forma che, conforme alla volontà del Padre, a Lui ci porta? Dio può imporci il suo dono, non se stesso come dono. "Presso di te è la sorgente della vita, nella tua luce vedremo la luce".( salmo 35,9)
La visione di Dio non è un dono imposto dall'alto, ma una semplice proposta dell'amore divino: ciò che è donato è soltanto la grazia che rende possibile tale visione in una forma adeguata, nel pieno rispetto della nostra libertà. All'origine noi siamo creature fondate in Dio per Sua volontà, ma chiamate al suo possesso per nostra volontà. La grazia di Dio non annulla il libero arbitrio, ma lo presuppone. Ma in che senso allora siamo liberi, se non nei confronti della luce? Mentre in Dio la luce è inscindibile dalla sua fonte, nella creatura è possibile una scissione fra la fonte della luce ( il Figlio ) e la luce riflessa nel proprio corpo ( dono della grazia ). Allo stesso modo che noi possiamo godere della luce del sole, senza fissare gli occhi sulla sorgente di tale luce, così è possibile godere della luce del Figlio, senza contemplare il Figlio stesso. Può cioè accadere che l'occhio della creatura, invece di riconoscere e accogliere la luce lungo la direzione in cui essa proviene, ovvero dalla fonte, resti preso dalla luce riflessa dal proprio corpo: non vede più la luce, ma se stesso come luce. La creatura non vede più Dio in se stessa, ma se stessa come Dio. Non è più conscia di risplendere di luce riflessa, ma vede se stessa come portatrice di luce. Per questo Satana è detto Lucifero ( portatore di luce ). Lo spirito di Satana è quello del ladro, che si impossessa di ciò che non gli appartiene in proprio, ma con ciò stesso perde la fonte della luce e con la fonte la stessa grazia divina.
Satana non conobbe Dio, perché non volle riconoscere la Sua luce come dono del Figlio. Da quanto detto appare chiaro che il male è autoprivazione del bene. Certamente vi è un momento critico per la creatura, il momento in cui deve fare una scelta, che comporta la possibilità dell'errore. Ma, a questo punto, è opportuno fare alcune considerazioni che sono fondate, se non strettamente nei versetti in questione, su quello che è il significato generale e fondamentale della Bibbia.
Non soltanto l'uomo gioca la sua vita in rapporto alla Parola, ma anche gli angeli giocarono la loro vita in rapporto all'unica Parola. Non possiamo ipotizzare che la sorte eterna degli angeli si sia risolta tutta in rapporto al dono della luce, sic et simpliciter, senza che tale dono sia stato accompagnato, chiarito, guidato dalla Parola. Un dono che non sia preceduto e accompagnato dalla Parola è di per sé muto e privo di valore, in quanto nulla ci dice riguardo al suo fondamento e al suo fine, a Colui che ce l'ha dato e perché ce l'ha dato. Il primo dono che viene dato alle creature dopo la vita è innanzitutto una forma che ci permette di comunicare con la Parola stessa. La lingua altro non è che una possibilità strutturale dell'io di relazionarsi al suo Creatore, per ascoltarlo e per comunicare con Lui.  La lingua che è forma dell'io non va confusa con le  lingue da essa create: la lingua è innata, in quanto creata da Dio, le lingue sono le molteplici forme materiali ( suoni, segni, gesti ) che noi diamo all'unica lingua. E' indubbio che ogni creatura razionale, se pur in possesso di una lingua formalmente povera  ( primitivi, subnormali ) è in grado di comunicare con la Parola, in quanto fondata in Essa e relazionata ad Essa. Ci è impossibile comprendere in quali forme spirituali gli angeli comunichino con la Parola: vero è che il senso primo del loro essere è nel Verbo e per il Verbo. E' innanzitutto in rapporto alla Parola che essi diventano un io cosciente di se stesso. All'origine è soltanto una sorta di "materia spirituale" senza forma né vita. E' il Figlio che dà forma e vita a questo abisso primordiale, donando la sua luce. Ma il venire alla luce non indica l'origine prima della creatura, il passaggio dal suo non essere al suo essere: è  semplicemente il momento della nascita, il passaggio da una vita ad un'altra vita, da una vita gestita in un grembo materno, ad  una vita autonoma, non più legata a..., ma liberamente relazionantesi a...
Come per l'uomo, così per gli angeli. Prima di venire alla luce, gli angeli sono, per così dire, gestiti dal Figlio, nel grembo dello Spirito Santo. Cos'è la gestazione, se non un cammino di formazione e di crescita che avviene senza luce, ma in vista del venire alla luce? All'origine lo spirito è un io semplice, ovvero semplice coscienza di sé. Non si può avere coscienza di se stessi se non in rapporto alla Parola. L'io comincia ad essere nel momento in cui viene fondato e relazionato al Verbo. All'inizio si tratta ovviamente, di un io semplice, ovvero di una coscienza ancora informe, perché del tutto informe è il rapporto con la Parola. Tale coscienza cresce, si sviluppa, matura nella misura in cui la Parola stessa si dona, formando, per così dire, come un recipiente che è sempre più in grado di comprenderla e di accoglierla. Il venire alla luce non rappresenta ancora la vita eterna, ma la chiamata alla vita eterna: il passaggio da una vita gestita in Dio, da Dio, ad una vita gestita in Dio dalla creatura stessa. E' il momento in cui si entra nella maturità e in cui si deve dar prova di maturità. Non si è maturi, se non per qualcuno e per qualcosa. Quando gli angeli vengono alla luce sono già in grado di comprendere se stessi in rapporto alla Parola. Hanno già una forma spirituale, destinata a crescere e ad arricchirsi della Parola. E non  è un tempo di formazione e di preparazione che si possa quantificare in termini cronologici, ma soltanto in termini logici, in quanto rapportato esclusivamente alla Parola o Logos e non alle categorie dello spazio e del tempo materiali.
La grazia di Dio opera in concomitanza con i suoi molteplici doni, che sono ad immagine di Dio, ma che devono essere illuminati dalla Parola, riguardo al loro fondamento e al loro fine.
Tutto ciò che forma la vita è già di per sé grazia, ovvero dono. Ma il dono della Parola che è luce e che conduce alla fonte della luce, deve essere illuminato dalla Parola stessa.
Soltanto in obbedienza alla Parola si giunge a possedere non semplicemente un dono ad immagine della Parola, ma la Parola stessa. Questo pieno possesso della Parola è ciò che viene chiamato dalla Bibbia vedere Dio. La maturità è per entrare nella vita eterna e la vita eterna è godere Dio, nella sua visione beatifica. Si tratta, ovviamente  di una visione puramente spirituale, che non ha nulla a che vedere con la vista materiale. L'uomo non possiede alcun elemento, per poter comprendere una visione di tale natura. Il nostro sforzo mentale si risolve, tutt'al più, nel tentativo di immaginare un Dio che ha una forma diversa, mentre si tratta di una forma di visione diversa. In questa prospettiva si comprende  sempre meglio che la luce altro non è, se non una immagine materiale, per indicare una condizione senza la quale non può esserci visione alcuna.
La luce non comporta necessariamente il vedere, ma la possibilità di vedere. Il passaggio dalla tenebre alla luce è un momento di fondamentale importanza per l'essere creato, in quanto il venire alla luce significa l'inizio del libero arbitrio.
Finché la creatura è gestita in un grembo, assume la forma che le viene data, allorché viene alla luce, si crea per lei la possibilità di una forma che si sviluppa in modo autonomo rispetto al fondamento della vita. Iddio sapeva bene che esisteva per gli angeli la possibilità dell'inganno. Per questo la loro libertà è guidata e preceduta dal suo amore. Il passaggio dalle tenebre alla luce non rappresentava un momento di incoscienza di tale amore, ma il momento della massima coscienza: allorché l'essere maturato nella Parola e per la Parola, finalmente può udire la Parola e dire la parola. Perché mai Dio ha esclamato: "Sia fatta luce", se non per chiamare i suoi figli alla vita così attesa, perché già preparata e promessa? Da sempre era la luce, ma non era ancora stata donata e luce non c'era per gli angeli, se non in Parola . Tutto ciò è detto per contrapposta analogia con il nostro essere, perché anche noi siamo chiamati alla vita dalla Parola ( di Dio ) e da una parola ( quella della madre ) che non è innanzitutto canto di gioia ma  pianto e dolore e rispondiamo  con una parola che è parimenti pianto e dolore: risposta al pianto della madre, ma, ancor prima, risposta a Dio, per il nostro passaggio dall'essenza all'esistenza, dalla vita in Eden alla vita fuori di Eden. Si nasce nel pianto e col pianto che viene dalla separazione dalla fonte della vita: è questa l'espressione prima della nostra parola. Da un punto di vista essenziale tutto è più bello e tutti sono più felici.
E' la Parola di Dio che  chiama alla vita, esultando di gioia amorosa per i suoi figli ed invitandoli ad una immediata risposta, che è inno di lode e di ringraziamento all'Autore della vita. Nel momento del passaggio dalla luce alle tenebre è la massima consapevolezza dell'Amore di Dio, allorché la promessa diventa attuale e reale, creando la novità di vita. La libertà delle creature non cade così hic et nunc ( qui ed ora ), ma è prevenuta, confermata, illuminata dalla Parola stessa di Dio, che crea le condizioni, i presupposti per un cammino di crescita, dalla luce alla fonte della luce. Detto questo è chiaro che anche per gli angeli tutto il senso della vita si è giocato in rapporto alla Parola. Essi dovevano passare liberamente da una felicità bambina, che è paga del dono, alla felicità piena, che consiste nella conoscenza della persona che dona.
Il dono è, di per sé, espressione di amore, ma non è suppletivo di colui che dona. Altro è la felicità di chi gode dei beni del Padre, altro è la felicità di chi gode del Padre stesso. Risalire dal dono, che è buono, al donatore, che è Bene: questo doveva essere il naturale epilogo della libertà degli angeli. Tutto questo, ovviamente, nell'obbedienza a quella Parola, che li aveva tratti dalle tenebre alla luce. Il peccato di Satana è nell'appropriazione indebita della parola, che da fonte di grazia, divenne fonte di dannazione, in quanto scissa dall'unico Verbo.
Com'è possibile impossessarsi della parola e, nello stesso tempo, rifiutare la Parola?
La parola che viene data all'origine, in virtù della quale si diventa un io cosciente, non è il Figlio in senso stretto, ma una forma che è grazia, che ci permette di accogliere la Parola, di comprenderla, di seguirla fino alla comunione piena e perfetta, che si avrà soltanto con la visione di Dio. In questa grazia originale è già il Figlio che si fa sentire, ma non ancora il Figlio che si fa vedere.
In quanto essere originariamente creato per la Parola, Satana, rifiutando l'obbedienza alla Parola, ha perso il Suo fondamento e il Suo fine, non la Sua forma. Egli è tuttora un essere intelligente in grado di comunicare attraverso la parola. Essendo tuttavia la sua parola completamente scissa dalla fonte, non è più una potenza di salvezza, ma una potenza di perdizione; non opera più in Dio e con Dio, ma fuori di Dio e contro Dio. La parola del diavolo è ingannevole e seducente: ingannevole perché non conduce al fondamento della vita, ma al suo completo smarrimento, seducente in quanto gioca se stessa soltanto in rapporto alla  forma e si presenta all'uomo come ciò che è così ragionevole, così logico, al punto che sembra una pazzia andare contro la sua  evidenza. Mentre a Dio basta una sola parola per salvare l'uomo, Satana ha bisogno, per essere credibile, di una parola potentemente strutturata, che sia in grado di sedurre le creature, al punto da mascherare la sua mancanza di vita.  I sistemi religiosi e filosofici, nonché le grandi civiltà create dall'uomo nel tempo, sono il segno evidente dell'opera del Satana. Da sempre l'uomo cerca di comprendere e di accrescere la propria vita in relazione alla propria parola. Chiuso in se stesso, incapace di cambiamento e di progresso non ha potuto crescere nella Parola, ma ha fatto crescere la propria parola, così da creare civiltà e culture molto complesse, che hanno la parvenza della vita, mentre in realtà sono morte. E la morte cancellerà per sempre tutto ciò che ha prodotto la parola dell'uomo, dopo aver cancellato la sua stessa vita.
Di contro alla parola dell'uomo, agita e guidata da Satana, vi è la Parola di Dio, che si cala dall'alto nella nostra vita, fino alla Sua incarnazione. Ad una parola potentemente strutturata, Dio contrappone una Parola potentemente fondata. Quale parola più fondata in Dio di quella del Figlio? Il Verbo che si fa carne è potenza in sé e per sé, non ha bisogno della parvenza che è nella forma.
Egli si manifesta tanto più potente, quanto più rifiuta tutto ciò che l'uomo, schiavo di Satana, ha prodotto per creare a se stesso l'illusione della potenza. Soltanto gli stolti possono comprendere il linguaggio della croce. Stolto non è, necessariamente colui che manca di capacità logiche, ma colui che non confida nella propria logica. Bisogna, innanzitutto, ascoltare la Parola, lasciarla operare nel nostro cuore, pregare che essa illumini le nostre menti. Non a caso Gesù parla in parabole. La parabola è un paradosso, ovvero un modo di procedere della parola, che si presenta del tutto oscuro, incoerente, privo di connessione logica. Esso è tuttavia efficace per le conclusioni che trae, non in sé e per sé, ma in noi e per noi. Al di là della forma, è la potenza della Parola, che ci permette di comprendere oltre e, nonostante, la forma.
Alla fine, insieme alla vita, avremo anche la gioia di capire quale mirabile armonia, coerenza logica, ricchezza di pensiero, si nascondono sotto una Parola, all’apparenza povera. La parola del Satana, al contrario, si presenta come formalmente perfetta, conchiusa, sufficiente a se stessa. La sua pretesa di raggiungere un pensiero astratto, universalmente vero in sé e per sé, è la più evidente dimostrazione della sua incapacità ad operare una novità di vita. Quale importanza può avere un pensiero che arriva a comprendere la vita, senza poter cambiare la nostra vita? Una intelligenza chiusa in se stessa è una intelligenza schiava di Satana, che innanzitutto ci impedisce il confronto con la Parola di Dio. Chi è schiavo di Satana è in comunione con il suo stesso spirito, che è solitudine, infelicità, malvagità. La coscienza di Satana è divisa in se stessa, perché non si riflette in una Parola che è persona, ma in una parola che, scissa dalla fonte, è semplice riflesso del proprio io ribelle e dannato. E' proprio questo sentimento di eterna solitudine che lo rende infelice e malvagio seduttore dell'uomo. Egli cerca di trascinare tutte le creature in comunione con lui, illudendosi che ciò possa colmare la mancanza di quell'amore, che ,unico, crea la vera comunione dei cuori. Satana, creatura sola e divisa in se stessa, conosce un'unica comunione di cuori e di intenti, che è nel tentativo di distogliere tutte le creature dal Creatore.
In questa opera di seduzione, Satana è molto più potente dell'uomo, in quanto possiede un'intelligenza incomparabilmente più grande. Basti, ad esempio, considerare come Egli sia in grado di comunicare con tutti gli uomini, dimostrando con ciò stesso un possesso formale della parola che è assoluto, avente le caratteristiche dell'universalità.
E' lecito pensare che Satana, come tutti gli angeli, in rapporto alla Parola, abbia conosciuto un cammino di crescita molto più grande del nostro. Egli, inoltre, avendo già sperimentato il peccato nelle sue estreme conseguenze, ha una visione e una conoscenza globale della storia: ne conosce il naturale epilogo ed è in grado di predisporre qualsiasi insidia, qualora l'uomo apra il proprio cuore alla salvezza che viene dal Figlio. Un'intelligenza che ha perso il proprio fine rimane finale solo nel suo essere contro Dio e coloro che lo cercano. Ogni tentativo di discussione col Satana ci vede perdenti già in partenza. Alla sua parola possiamo solo contrapporre l'unica Parola.

“e divise luce e tenebre”
E' il giudizio di Dio sugli angeli ribelli, che vengono allontanati e separati da quelli fedeli. Dopo aver dato la luce, e con essa la vita agli angeli, Dio discerne la luce che si riconosce nel suo fondamento e nel suo fine, da quella che si è fatta luce a se stessa, dopo essersi appropriata del dono divino.

“5 E chiamò la luce giorno e le tenebre notte”.
Cosa rappresenta questo giorno spirituale, se non il coro splendente degli angeli, che hanno accolto la Luce che è il Figlio, ovvero le potenze dei cieli, che si sono sottomesse al Figlio e, da tenebre, sono diventate l'eterno giorno di Dio, nell'eterna lode del suo amore? Cosa rappresenta  la notte, se non gli angeli, che, dopo essere passati dalle tenebre alla luce, hanno preferito se stessi al Creatore e sono caduti nell'eterna notte del male? D'ora in poi , Dio spezzerà l'abisso in due parti: una superiore, sopra il cielo, riservata agli angeli fedeli, ricolma dei doni della sua sapienza, l'altra inferiore, sotto terra, dove precipita il dragone con i suoi angeli ribelli: sede di ogni male, falsità, inganno.

“E ciò fu fatto di sera e di mattina: giorno uno”.
Ci sembra non si possa intendere, come si fa comunemente: E fu sera e fu mattina. E' lecito un qualsiasi riferimento alle categorie dello spazio e del tempo, allorché si parla di ciò che fu creato al di fuori dello spazio e del tempo? Non si vuole dare l'idea del trascorrere del tempo durante l'operazione divina, ma , semplicemente, di come ciò che viene creato prima si rapporti a ciò che viene creato dopo. Ancora una volta la chiave di lettura è nell'immagine, che si serve delle categorie create, le uniche a noi accessibili, per farci comprendere come Dio, che opera fuori del tempo, abbia creato dapprima ciò che è eterno, anche se non a Lui coeterno, e poi il nostro tempo.
"In principio creò Dio il cielo e la terra". Ciò che è creato in principio si inscrive direttamente nell'eternità di Dio, ma come dare l'idea di ciò che è creato dopo, nella stessa eternità, se non introducendo delle categorie che mettano in correlazione il dopo con il prima?  La sera e la mattina sono indicatori di tempo innanzitutto concettuali, non sono di per sé assolutamente quantificabili dal punto di vista della durata: la sera è il momento di passaggio dal dì alla notte, il mattino dalla notte al dì. La sera è semplicemente l'anello di congiunzione tra il dì e la notte, la mattina l'anello di congiunzione tra la notte e il dì. Di per sé dicono soltanto il dopo e il prima e  ciò che viene dopo e prima. Dio creò di sera e di mattina, per significare che creò fuori dal tempo, ma  parimenti per significare che anche nella creazione eterna vi è un prima e un dopo, non in senso cronologico, ma logico. Dio creò in principio, ma creò anche dopo il principio, per arrivare alla fine, allorché cessò da ogni opera per riposare nell'unico giorno.
“E ciò fu fatto di sera”: cioè dopo il giorno prima, “e di mattina”, cioè prima del giorno dopo. Questa espressione si ripete per ben sei volte, con un identico significato.
Un discorso a parte va però fatto per il primo giorno. Che senso ha parlare di sera e di mattina riguardo alla creazione del cielo dei cieli, che è iscritta nell'eternità stessa di Dio e non conosce tempo? Tutto ciò non si può intendere se non come volontà di porre semplicemente una relazione tra ciò che viene creato “in principio” e ciò che  è creato  non più in principio: tra il prima e il dopo,  in un senso puramente logico e non cronologico. Gli angeli sono creati di sera e di mattina: tra la fine ( sera ) di ciò che fu creato “in principio” e l’inizio  ( mattina ) di ciò che fu creato dopo questo principio .
E a questo punto comincia la linea del tempo. Non con lo zero, perché gli antichi non conoscevano lo zero, ma con l’uno. Né si dice giorno primo. Perché il primo indica ciò che fa parte di un’identica serie, mentre nel nostro caso abbiamo l’inizio di un’altra serie: il giorno uno è l’anello di congiunzione tra ciò che è fuori del tempo e ciò che è fatto col tempo. Si potrebbe anche intendere più semplicemente che non c’è un primo quando non c’è ancora un secondo. Per quanto concerne il settimo giorno, non è detto che fu fatto di sera e di mattina; per significare che esso è da sempre presso il Padre, come  l'unico giorno, senza inizio e senza fine.

 

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