Cap. 2, 15-25

Cap. 2,15-25
15 tulit ergo Dominus Deus hominem et posuit eum in paradiso voluptatis
Portò dunque il Signore Dio l'uomo e lo pose nel giardino del piacere,
ut operaretur et custodiret illum 16 praecepitque ei dicens
perchè operasse e custodisse quello e gli comandò dicendo:
ex omni ligno paradisi comede
Da ogni legno del giardino mangia,
17 de ligno autem scientiae boni et mali ne comedas
ma dal legno della conoscenza del bene e del male non mangiare.
in quocumque enim die comederis ex eo morte morieris
Infatti in qualunque giorno mangerai, da quello morirai di morte.
dixit quoque Dominus Deus
18 Disse anche il Signore Dio:
non est bonum esse hominem solum faciamus ei adiutorium similem sui
Non è bene che sia l'uomo solo, facciamogli un aiuto simile a lui
19 formatis igitur Dominus Deus de humo cunctis animantibus terrae et universis
Formati pertanto il Signore Dio dal terreno tutti gli animali della terra e tutti
volatilibus caeli adduxit ad Adam ut videret quid vocaret ea
i volatili del cielo, li condusse ad Adamo per vedere che cosa chiamasse quelli:
omne enim quod vocavit Adam animae viventis ipsum est nomen eius
ogni cosa infatti che chiamò Adamo di anima vivente, quello è il suo nome.
20 appellavitque Adam nominibus suis cuncta animantia et universa volatilia caeli
E chiamò Adamo con nomi suoi tutti gli animali e tutti i volatili del cielo
et omnes bestias terrae
e tutte le bestie della terra.
Adam vero non inveniebatur adiutor similis eius
In verità non veniva trovato da Adamo un aiuto simile a lui.
21 inmisit ergo Dominus Deus soporem in Adam cumque obdormivisset
Immise dunque il Signore Dio un sonno in Adamo ed essendosi addormentato 
tulit unam de costis eius et replevit carnem pro ea
portò una sola delle sue costole e riempì la carne al posto di essa
22 et aedificavit Dominus Deus costam quam tulerat de Adam in mulierem
ed edificò il Signore Dio la costola che aveva portato da Adamo in donna
et adduxit eam ad Adam 23 dixitque Adam
e la condusse ad Adamo. E disse Adamo:
hoc nunc os ex ossibus meis et caro de carne mea
Questo ora osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne.
haec vocabitur virago quoniam de viro sumpta est
Questa sarà chiamata uoma, perchè dall'uomo è stata tratta.
24 quam ob rem relinquet homo patrem suum et matrem et adherebit uxori suae
Per questa ragione lascerà l'uomo il padre suo e la madre e si unirà alla sua donna
et erunt duo in carne una
e saranno due in una sola carne.
25 erant autem uterque nudi Adam scilicet et uxor eius et non erubescebant
Ma erano entrambi nudi, s'intende Adamo e sua moglie e non arrossivano.

 

15 "Portò dunque il Signore Dio l'uomo e lo pose nel giardino del piacere perché lavorasse e custodisse quello ..."

Adamo viene posto in Eden per la seconda volta: con ciò si vuol significare due modi diversi del nostro essere in rapporto al dono di Dio. Il creato , innanzitutto, ci è stato dato perché possiamo ammirarlo e conoscerlo così com'è, in un godimento passivo, che è gioia degli occhi e dei sensi. Ma il rapporto con il creato conosce anche il momento dell'impegno, di una presenza attiva, per cui l'uomo da semplice creatura è portato da Dio stesso a diventare, a sua volta, creatore di una realtà nuova: è l'inizio della nostra vocazione. Cos'è propriamente una vocazione? E' semplicemente l'essere chiamati per uno scopo, per un lavoro, per una missione da svolgere.
Nel linguaggio usuale per vocazione si intende una chiamata del tutto particolare, eccezionale e diversa rispetto al modo comune di essere cristiani. In realtà la vocazione non è ciò che ci rende diversi, ma ciò per cui ci riconosciamo uguali, in quanto tutti ugualmente chiamati ad essere figli di Dio, nell'obbedienza all'unica Parola. Non esistono tante vocazioni, ma un'unica vocazione.
La molteplicità di vocazioni fa risaltare esperienze in cui l'iniziativa umana è preponderante rispetto all'obbedienza alla Parola. Il risultato finale è una continua divisione dei cuori, la perdita del senso dell'unità della Chiesa. La molteplicità delle vocazioni non va confusa con la molteplicità dei doni dello Spirito Santo. L'una divide e impoverisce, l'altra unisce ed arricchisce. Possiamo recuperare l'unità della chiesa solo recuperando il senso vero della nostra vocazione: l'obbedienza all'unica Parola. Vero è che la vocazione viene prima del comando divino: Adamo era originalmente strutturato da Dio per coltivare il giardino e per custodirlo. Ma è proprio in questa priorità dell'essere strutturato, rispetto all'essere illuminato, la possibilità dell'inganno e del peccato. L'uomo può cioè muoversi, procedere in rapporto al creato, in modo del tutto autonomo, seguendo quel primitivo impulso, che appare in noi già formato, già dato prima ed indipendentemente dalla Parola di Dio. Ma tale immediatezza naturale è solo la motrice del nostro rapporto con la vita che è donata: non è e non può essere la sua guida. Troppe vocazioni procedono in modo autonomo rispetto alla Parola di Dio. La stessa Parola viene strumentalizzata per portare avanti un progetto di vita, che è semplice espressione di una struttura del nostro essere: non conosce obbedienza al Signore e, in quanto tale, non è da Lui benedetta, nonostante abbia tutte le parvenze del bene.
"Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore non abbiamo noi profetato nel tuo nome e nel tuo nome fatto molte opere potenti. E allora confesserò a quelli che mai ho conosciuto voi. Allontanatevi da me operatori di iniquità". ( Matteo 7,22-23 )
Chi è propriamente l'operatore d'iniquità? Non semplicemente e non innanzitutto chi fa il male, ma colui che fa il proprio male, non obbedendo alla Parola di Dio.
Non esiste missione , opera così grande che possa giustificare una distrazione rispetto all'ascolto della Parola. Tale ascolto è prioritario rispetto a tutto il resto: è ciò che dà senso, luce, guida, sapore alla vita. Non c'è vocazione in atto, se non nel momento in cui Dio parla all'uomo. Nel momento in cui è posto in Eden perché lo coltivi e lo custodisca, Adamo è posto di fronte alla Parola di Dio.

16 " e gli comandò dicendo..."

L'uomo non è in grado di crescere in modo autonomo, ha bisogno di essere guidato, illuminato dalla Parola: e l'espressione prima della Parola è nella forma del comandamento. Quale Padre lascerà mai che il suo bambino compia i primi passi da solo, abbandonato a se stesso, senza una guida? E quale guida più efficace di una Parola che si esprime nella forma del comando? Soltanto in Dio è superata qualsiasi antinomia tra il comandare e il dire. Nel  comando è l'espressione prima e più immediata dell'Amore, il quale non vuole che alcuna delle Sue creature perisca e, proprio per questo, per così dire, alza la voce, perché siano confortate dalla Sua presenza sempre vicina e sempre attenta. Nessun bambino si sente ferito da un comando illuminato dall'amore, al contrario in esso avverte, non semplicemente il bene, ma il proprio bene.
Il rigetto del comando, che oggi si manifesta assai precocemente, è sintomatico, non solo di un indurimento del cuore, ma ancor prima della perdita di una parola fondata nell'Amore. Non si sopperisce ad un comando senza Amore con un dialogo prematuro. Una parola detta "con autorità", vale molto più di mille spiegazioni, che non hanno la forza dell'Amore. Non si dialoga con chi non è ancora in grado di capire e neppure Dio lo fa ; all'inizio della vita non esiste alternativa rispetto ad un comando illuminato e confortato dall'Amore. Così Dio non dà ad Adamo alcuna spiegazione che renda possibile una qualsiasi forma di dialogo tra la creatura e il Creatore. Questa, semmai, sarà l'opera di Satana. Una società "malata" di dialogo è una società lontana da Dio, che non sa più amare, proprio perché ha rifiutato l'espressione prima dell'Amore di Dio, ovvero il Suo comandamento. Né vale esaltare e valorizzare la libertà dell'individuo e le sue capacità di autodeterminazione quando ancora non è maturo. La libertà non è soltanto un dato, è anche un fatto: si è liberi e si rimane tali solo nell'esercizio della libertà.
Vi è una libertà relativa al nostro modo di operare e di muoverci rispetto al creato, che rimanda ad una libertà fondata nel suo Creatore. Ritenersi liberi solo perché si può fare quello che si vuole è un grave inganno: in realtà chi fa tutto ciò che vuole è schiavo della propria volontà.
In quanto libera, ovvero liberatasi dal suo fondamento e dal comando divino, la nostra volontà partorisce ciò che è male agli occhi di Dio: è pazza, cieca, senza guida, malata alle sue radici. Il senso vero della libertà è solo nel rapporto con il Creatore. Dio ci ha creati liberi, perché solo nell'esercizio della libertà è possibile un cammino di crescita che è ascolto: dove l'uomo attraverso i doni di Dio , conosce sempre di più il Suo amore e, proprio per questo, desidera identificarsi sempre di più con Lui e sceglie liberamente e consapevolmente di essere come Dio, conforme alla Sua volontà.
E' chiaro, quindi, che Dio non crea Adamo libero perché faccia quello che vuole: sa bene che per lui sarebbe la morte. Ci crea liberi, perché vuole un'adesione spontanea al Suo amore, senza coercizione di sorta. Fin dall'inizio la libertà dell'uomo è confortata dalla presenza di Dio, così come essa si esprime nella forma del comando. Dio chiede ad Adamo delle risposte libere, che sono proporzionate alle sue reali possibilità e alla misura del dono. Si sceglie liberamente di obbedire alla Parola di Dio, perché se ne sperimenta la bontà. Crescere nella libertà non significa crescere nell'autonomia, ma nell'obbedienza e nella consapevolezza che nulla possiamo fare senza Dio. Il risultato ultimo, finale, dell'esercizio della libertà non è l'acquisizione di un'assoluta autonomia, ma, al contrario, la perdita consapevole e volontaria di ogni nostra libertà rispetto al Signore.
Soltanto quando l'uomo rinuncia liberamente al proprio essere in sé e per sé, può rivestire l'essere di Dio. Ma con ciò l'uomo è già nella dimensione eterna, dove non vi è libertà alcuna della creatura rispetto al Creatore, in quanto la creatura ha scelto liberamente di essere come il Creatore e conosce se stessa, non semplicemente nel rapporto con la Parola, ma nella visione della Parola, portando la Sua immagine in modo diretto, immediato. Non più semplice immagine di Dio, ma immagine riflessa di Dio. Paradossalmente siamo creati liberi, perché liberamente perdiamo la nostra libertà. Affermare che Dio non doveva crearci liberi, onde evitare la possibilità della caduta, significa non comprendere che non esisteva altra via per la vita eterna: non saremmo mai diventati come Dio, ma saremmo rimasti una semplice creatura disegnata a somiglianza di Dio. Ma tra l'essere ad immagine di Dio e l'essere come Dio vi è un salto di qualità. Una semplice immagine non ha occhi per vedere il suo artefice: per vedere Dio bisogna essere come Dio, ovvero essere posseduti dal Suo Spirito, rivestiti di una vita nuova.
Quando l'uomo usa male la sua libertà, spiana il cammino per la sua caduta, ovvero crea le premesse per il rifiuto pieno, consapevole, definitivo del suo Creatore. Non sapremo mai in quanto tempo si è consumata la tragedia di Adamo. Secondo alcuni Padri, Adamo non ha visto sorgere l'alba del giorno dopo. A noi piace pensare, per analogia con la nostra esperienza esistenziale, che, prima della caduta, vi sia stato una sorta di progressivo indurimento di cuore, che ha portato all'esito finale. Perduto il Signore e il rapporto con la Sua Parola, Adamo non perse la libertà, né perse la vita: continuò a vivere e ad essere libero, ma in una forma degenere, perché degenerata. Mentre prima conosceva solo il bene, adesso conosce anche il male. Mentre prima la sua libertà era fondata in Dio e si misurava con la Sua Parola, adesso la sua libertà è rinchiusa nel suo essere e può solo confrontarsi con una coscienza dilacerata, divisa in se stessa, dove rimane ancora, per misericordia di Dio, una certa conoscenza del bene, ma dove è entrata anche e, soprattutto, la conoscenza del male. Una coscienza divisa dal suo Creatore si muove come in un circolo vizioso, dove ogni sforzo per fare il bene altro non è che una rincorsa del proprio essere: estraneo alla grazia di Dio, destinato al fallimento: avente ancora la nozione del bene, ma privo della grazia che ci fa buoni. E' questa la dimensione morale dell'uomo: una lotta di se stessi contro se stessi...ma "ogni regno diviso in se stesso sarà distrutto".
Dobbiamo aprire il cuore all'opera salvifica di Gesù, che ci riporta alla conoscenza di Colui che è unico è buono e andare oltre il conflitto etico.
Il peccato d'origine viene definito da Genesi per le sue conseguenze, l'effetto è scambiato per la causa. Quale modo più efficace di presentarci il peccato d'origine che identificarlo con le sue conseguenze? Se è lontano il ricordo di Eden è ben viva, perché attuale, la coscienza di una vita divisa tra il bene e il male, dove l'esperienza del male è preponderante e dominante rispetto a quella del bene. E' importante sottolineare che il peccato originale ha cambiato radicalmente il nostro essere: è errato pensare che, pur facendo l'esperienza del male, la nostra natura sia ancora buona. Non può esistere una natura buona che, a volte, cede al peccato. Chi fa il peccato è schiavo del peccato, ovvero è guidato da una volontà che non è più sottomessa a Dio, ma procede in modo autonomo rispetto al fondamento e al fine della vita. La nostra conoscenza del bene e del male ha un significato del tutto negativo: è l'esperienza della morte, che è entrata nel mondo dopo il peccato: non ancora la morte eterna, ma ciò che conduce alla morte eterna.
Adamo era destinato a crescere di vita in vita, fino alla vita eterna, noi cresciamo di morte in morte fino alla morte eterna. Poco importa se nella nostra vita, per misericordia di Dio, è rimasta un'esperienza di bene: è un bene che si spegne sempre di più, quanto più moriamo alla grazia di Dio. La conoscenza del bene è solo un retaggio di Eden, la conoscenza del male è esperienza in atto. Non siamo buoni, pur facendo il male, ma siamo malvagi pur facendo il bene: un bene che non ci appartiene in proprio, ma soltanto come dono di Dio.
Ciò che appare, a prima vista, come una limitazione del nostro essere è, in realtà, l'unica, vera possibilità di una crescita di dono in dono, fino alla vita eterna. Il comandamento di Dio è radicato nella coscienza dell'uomo senza che si identifichi con essa: la sua voce è la voce dell'Altro, che esige ascolto, obbedienza, pena la perdita della Vita. L'originaria vocazione dell'uomo a coltivare e a custodire la vita, trova nella Parola di Dio la sua naturale custodia. L'uomo non può custodire alcunché se non si lascia, a sua volta, custodire da Dio.
In verità l'interesse primo dell'uomo non è rivolto tanto al custodire, quanto all'operare. E' un impulso spontaneo, immediato, irrefrenabile quello che ci spinge ad operare sul creato, per diventare, a nostra volta, creatori di una realtà nuova. Ma esiste la possibilità di un rapporto sbagliato con la creazione, il cui risultato è un processo inverso di distruzione e, alla fine, di autodistruzione della propria vita. L'operare deve essere tutt'uno con il custodire, e non si può custodire se non in Dio e per Dio. In questo rapporto tra un Dio che chiama e un uomo che è chiamato, l'iniziativa è sempre di Dio. E' il Dio Creatore che guida, illumina, dirige il nostro essere creato, creatura e creatore, nello stesso tempo di una realtà nuova, ad immagine di Dio. Coltivare  custodendo significa apportare novità che non distruggano l'opera originaria, ma che l'arricchiscano di forme sempre pi belle, più alte: e ciò non è possibile, se non in perfetta sintonia tra la parola creata e la Parola creatrice. La nostra parola si può rapportare al creato soltanto nella misura in cui si rapporta al fondamento del suo essere creata.
E' la Parola che ci fonda nella vita e che ci incammina verso la vita. La coscienza di essere in vita fa tutt'uno con la coscienza di essere nella Vita: non fondati in se stessi, ma in Dio e per Dio. Il nostro io è cosciente non solo di se stesso come parola, ma di se stesso in quanto fondato nella Parola.
Non esiste una semplice coscienza di se stessi, esiste, viceversa, la coscienza di un io che è tale in quanto fondato in un Tu. Questo Tu si fa sentire sempre in modo imperativo categorico.

17 "Da ogni legno del giardino mangia, ma dal legno della conoscenza del bene e del male, non mangiare".

Un "devi" contrapposto a un "non devi". L'originale e strutturale vocazione di Adamo, fin dall'inizio, è, per così dire, guidata, incanalata da Dio in modo tale da non ammettere mediazione di sorta.
Tra un devi e un non devi non c'è spazio per una riflessione critica, riguardo alla Parola. Il confine tra il bene e il male è segnato in modo chiaro, netto, definito.
C'è una crescita che è conforme alla volontà di Dio, c'è una crescita che è contro la volontà di Dio. Il procedere contro la volontà di Dio viene raffigurato attraverso l'immagine dell'albero della conoscenza del bene e del male. Come spiegare il senso del peccato d'origine? Nel peccato va, innanzitutto, distinta la colpa dalle conseguenze della colpa. La colpa può consistere in un atto, oppure in una serie di atti reiterati nel tempo, che portano ad una degenerazione del nostro essere.
Riguardo ad Adamo sembra che il peccato si sia risolto in un solo atto: ciò non esclude, tuttavia, la possibilità di un progressivo indurimento di cuore rispetto alla Parola, prima che si arrivasse alla vera e propria disobbedienza.
Una prima interpretazione, molto semplice, del peccato di Adamo si può esprimere in questi termini: Adamo ha peccato perché ha voluto conoscere lui il suo bene e il suo male, escludendo la guida e la luce di Dio.
Ma perché mai ci poteva essere in Adamo questo colpevole desiderio di conoscere il bene e il male, quando la sua vita era già fondata nel bene? Per l'essere creato non c'è conoscenza che non sia anche esperienza. Adamo conosceva il bene, in quanto ne aveva continua esperienza nel giardino di piacere, dove tutto era preordinato per la sua felicità. L'esperienza del bene non può, di per sé, sollecitare alcun desiderio di un'esperienza ad essa contraria. Chi è nel bene non può desiderare il male. Ci sembra che il problema vada affrontato in modo diverso, approfondendo il significato della crescita di Adamo e del cammino che doveva percorrere per giungere alla visione di Dio. Altrove abbiamo sottolineato come Dio poté imporre all'uomo il suo dono, non se stesso come dono. Per essere come Dio non è sufficiente una somiglianza di tipo strutturale, ma si diventa come Lui nel pieno possesso di Lui, irradiando la Sua perfezione nella Sua visione. Si può essere immagine in modo diverso: immagine è ciò che è disegnato, creato a somiglianza di... Ma vi è anche un'immagine che è espressione di un essere che si specchia in un Altro essere e, con ciò, diventa pienamente simile a Lui, nel Suo possesso e nel suo essere posseduto.
Adamo è creato, cioè disegnato, formato ad immagine di Dio, ma, all'origine non riflette l'immagine di Dio. Tale limite doveva essere superato da un cammino di crescita nell'amore di Dio, un cammino legato, non solo ai dono di Dio, ma anche alla libertà di Adamo. Ed è proprio in virtù di questa libertà che Adamo "giocò" il senso della sua vita in Eden. Dio gli riconosceva piena libertà di movimento e di iniziativa riguardo alla conoscenza del creato: poteva nutrirsi di tutti i frutti che trovava in Eden, senza possibilità alcuna di caduta. Ma allorché Adamo è chiamato ad una crescita in rapporto al creato ed al Creatore diventa determinante il suo confronto con la Parola di Dio. Adamo è libero non in sé e per sé, ma in Dio e per Dio. Qualsiasi scelta deve essere costantemente rapportata al fondamento della vita. Adamo è libero di scegliere lo spazio e il tempo della propria crescita, ma non può svilupparsi in modo autonomo, senza un confronto con la Parola fondante. Può fare tutto ciò che vuole, ma non può fare nulla che sia contro la volontà di Dio.
E' come un bimbo che gioca nel paese dei balocchi , sotto lo sguardo attento ed amoroso del Padre: può muoversi liberamente, toccare, esplorare ciò che vuole, ma non può sottrarsi agli occhi che vigilano su di lui. La libertà dell'uomo non è assoluta, cioè sciolta da ogni vincolo: è una libertà creata e, in quanto tale, fondata nel suo Creatore: siamo liberi solo in Dio e per Dio. Qualsiasi pretesa autonomia rispetto alla Parola porta alla morte.
Misero quell'uomo che crede al proprio bene; felice quell'uomo che crede in Colui che solo è buono. Nel giorno del giudizio Dio condannerà coloro che hanno confidato nelle loro opere buone: è meglio confidare nel Signore e nella Sua misericordia. Qualsiasi sforzo che proceda dall'uomo e dal suo essere originale conduce alla morte.

"Infatti in qualunque giorno mangerai, da quello morirai di morte".

Il giudizio di Dio è netto ed inequivocabile, non ammette alcuna possibilità di riscatto per l'uomo, allorché vivrà nutrendosi dei frutti della conoscenza del bene e del male. Non morirai semplicemente, una volta per sempre, ma morirai di morte, ovvero continuerai a morire fino alla morte eterna.
Difatti Adamo, morto alla vita di Eden, continua a sopravvivere fuori dal giardino di piacere, ma la sua esistenza comincia già segnata dalla morte, non solo come destino finale, ma come esperienza in atto del suo essere staccata da Dio. Ogni volta
che l'uomo mangia dal frutto della conoscenza del bene e del male, cresce nella sua esperienza di morte. Non siamo morti alla vita di Dio una volta per sempre, ma continuamente viviamo, ci nutriamo, cresciamo in un'esperienza di morte. Solo il ritorno all'ascolto della Parola di Dio può rompere questa tragica catena, che va di disobbedienza in disobbedienza, fino alla dannazione eterna.
Perduto lo stato primitivo di grazia, Adamo sperimenta il male e un bene già segnato dalla morte, perché non più fondato in Dio, ma nell'uomo e per l'uomo.
Non si inizia il cammino della salvezza, valorizzando ciò che è rimasto di buono in noi, ma, al contrario, evidenziando e scoprendo tutto il male che è entrato nel nostro cuore. Nell'esperienza della morte che viene dalla conoscenza del bene e del male, la ricerca della Vita non è più, come in Eden, un semplice cammino di crescita nell'obbedienza alla Parola, ma è, ancor prima, un cammino di rinnegamento di se stessi: non solo del proprio male, ma anche del proprio bene.

18 "Disse anche il Signore Dio: Non è bene che sia l'uomo solo, facciamogli un aiuto simile a lui".

La vita dell'uomo, già all'origine, è segnata da un senso di solitudine, che mal si accorda con la sua natura di essere fondato in Dio, ad immagine di Dio. Una coscienza di sé, che non è tale se non in quanto fondata e relazionata ad un Tu, non dovrebbe, in alcun modo, sentirsi sola.
Vero è che l'originale rapporto con Dio non conosce quella pienezza di vita che rende la creatura paga del suo Creatore. La comunicazione di vita è possibile soltanto tra pari: non si può comunicare con Dio, ma soltanto ascoltare la Sua parola. Dio, evidentemente, è ben consapevole di questo limite di Adamo, e subito pensa di mettergli accanto un altro essere, non solo simile al Creatore, ma simile anche alla Sua creatura: l'altro da sé, che è ancora se stesso, un tu che completa l'io. Adamo poteva trovare e vedere la propria somiglianza con Dio, non solo in se stesso, nella sua dimensione interiore, ma anche fuori di se stesso, in rapporto alla creatura.
Dio non ha dato semplicemente la Sua immagine all'uomo, ma ha dato all'uomo anche l'immagine di se stesso. L'idea della creazione della donna è quella di dare un aiuto, un qualcosa di più, per facilitare il cammino verso il Creatore.
Benché in Eden vi sia, in Adamo, tutto il genere maschile, la sua parola è manchevole, non per quel che riguarda la forma, ma per l'impossibilità di trovare un referente diverso, che sia in grado , non solo di recepire la Parola, ma anche di elaborarla ulteriormente, di arricchirla di significati e di contenuti nuovi, così da rimandarla al mittente con una carica vitale diversa. E' soltanto nella novità della parola la molla che dà vita ed alimento al dialogo ed alla comunicazione.
Adamo possiede già il pensiero operativo e creativo, ma la sua parola non ha ancora un referente che gli sia diverso nel suo essergli simile.
E' bello creare! Ma che senso ha creare, senza poter comunicare, ovvero mettere in comunione il prodotto del proprio pensiero? Un pensiero creativo chiuso in se stesso non è pago di se stesso.
Né un qualsiasi essere vivente poteva appagare il desiderio di comunicazione di vita di Adamo, ma solo una creatura parimenti fondata nella Parola e aperta alla crescita nella Parola.

19 "Formati pertanto il Signore Dio dal terreno tutti gli animali della terra e tutti i volatili del cielo, li condusse ad Adamo per vedere che cosa chiamasse quelli: ogni cosa infatti che chiamò Adamo di anima vivente, quello è il suo nome. E chiamò Adamo con nomi suoi tutti gli animali e tutti i volatili del cielo e tutte le bestie della terra".

Prima di creare la donna, Dio conduce ad Adamo gli animali formati col fango. Essi rappresentano un arricchimento per la vita dell'uomo, sia perché sono oggetto di conoscenza, sia perché ricercano la sua compagnia. E' un istinto spontaneo, immediato, impresso da Dio, quello che spinge gli animali a cercare l'uomo, per stargli vicino e fargli da corona. Nella dimensione essenziale non possono stare senza l'uomo: lo cercano, lo avvicinano, gli fanno festa come fosse il loro padrone o, meglio, il loro Signore e il loro Creatore. Incapaci di rapportarsi al fondamento e al fine della vita, Dio li crea solo per noi e in vista di noi.
Perché mai Dio vuol vedere come Adamo chiama gli animali, se non per gioire con lui, far festa insieme a lui per il nuovo dono? Nessun padre è pago del dono che fa al figlio, ma vuol vedere come il figlio accoglie il suo dono, per gioire della sua stessa gioia: magari di nascosto. L'importante è che i figli siano felici!
"Ogni cosa infatti che chiamò Adamo di anima vivente, quello è il suo nome". Gli animali sono dati a noi perché possiamo farne ciò che vogliamo. In Eden non esiste un rapporto dell'animale con l'uomo, che non sia quello dell'uomo con l'animale. Non c'erano riserve naturali, né oasi protette, ma animali al servizio dell'uomo e un uomo custode della loro vita.
Dopo la parola come pensiero creativo, che opera sulla materia priva di intelligenza, Adamo conosce ora una parola che non è più semplicemente strumentale, ma relazionale. La parola esce dalla sua dimensione puramente interiore e si fa suono o voce. Per rapportarsi al creato basta pensare, per relazionarsi agli animali bisogna chiamarli con un nome o un suono. Non c'è possibilità relazionale della parola che non passi attraverso una forma creata dall'uomo. Possiamo ipotizzare che, all'origine, tale forma sia molto semplice come quella del bambino, non per questo è meno significativa. L'uomo può ora dilettarsi a creare una varietà di suoni complessi, con l'accostamento di suoni semplici. Quale interesse poteva avere l'uomo a dare un nome agli esseri inanimati, incapaci di una qualsiasi risposta? Basta ora una semplice emissione di suoni, ed ecco intorno ad Adamo una miriade di esseri in anima vivente, che si pongono al suo servizio.
Ma altro è il suono o voce, altra è la parola. Basta la voce della parola per chiamare un'altra persona: occorre la struttura logica della parola per poter comunicare e comprendere. Ma ciò è possibile soltanto a chi è creato ad immagine del Logos. Gli animali che rispondono alla parola non rispondono con la parola. Obbediscono al richiamo dell'uomo in modo automatico, riflesso, per un istinto creato da Dio. E' un'obbedienza di tipo strutturale, di per sé priva di intelligenza logica: procede per schemi prestabiliti, incapace di porsi sullo stesso piano di colui che chiama.

20 "E chiamò Adamo con nomi suoi tutti gli animali e tutti i volatili del cielo e tutte le bestie della terra".

Per l'uomo, certamente, vi è qualcosa di più e di diverso nella sua vita.

"In verità non veniva trovato da Adamo un aiuto simile a lui".

Come può Adamo trovare un aiuto, nella sua crescita e nel suo cammino spirituale in creature bensì fondate in Dio, ma non relazionate a Dio? Il Signore sta per fargli un grande dono, ma vuole, in un certo modo, farglielo desiderare, creando aspettativa per una possibile realtà di vita, che comincia, or ora, ad intravedere proprio nel rapporto con gli animali. L'esperienza del chiamare con la parola crea un consapevole desiderio di comunicare con la parola.

21 "Immise dunque il Signore Dio un sonno in Adamo..."

Il modo in cui si regala qualcosa a qualcuno che si ama è commisurato all'entità stessa del dono. Si dona a volte in modo semplice, immediato, senza confezioni, ma per un dono diverso si cerca un modo diverso di donare. Cosa vi è di più bello e di più gioioso per un figlio che trovare, al proprio risveglio, non semplicemente un dono, ma proprio quel dono da tempo preparato e velatamente promesso, così da suscitare aspettativa ed entusiasmo?

"ed essendosi addormentato portò una sola delle sue costole e riempì la carne al suo posto 22 ed edificò il Signore Dio la costola che aveva preso da Adamo in donna e la condusse ad Adamo"

Mentre Adamo è creato dal fango e riceve una forma direttamente da Dio, la donna è creata dall'uomo e riceve la forma dell'uomo.
Se l'uomo è, innanzitutto, in Dio e per Dio, la donna è in Dio e per Dio, solo perché innanzitutto nell'uomo e per l'uomo. Da un punto di vista spirituale la questione non è di poco conto. S. Paolo ne parla in modo chiaro ed esauriente. Per la donna non vi è obbedienza a Dio che, in qualche modo, non passi attraverso l'obbedienza all'uomo. Soltanto la donna consacrata alla verginità può scavalcare il rapporto naturale ed essenziale di sottomissione all'uomo e cercare un rapporto diretto ed esclusivo con Dio.
Vero è che rimane sempre questo bisogno dell'altro, che a volte si ammanta di attributi non autenticamente spirituali... con tutte le complicazioni che ne derivano. E' strutturale per la donna ritrovare se stessa nell'uomo e per l'uomo. Una certa prudenza e sobrietà nei rapporti non è mai di troppo, neppure per i santi! La donna non è un qualcun altro rispetto all'uomo, ma il suo necessario completamento. E tutto ciò è reso dalla Volgata con una forma verbale assai difficile da tradurre.
"Aedificavit costam... in mulierem". Edificare vuol dire costruire qualcosa con qualcos'altro. Il risultato finale non è altro dal materiale impiegato ma, semplicemente, una sua diversa strutturazione. Viene intaccata la forma originale, non la sostanza. "Aedificavit costam...", lavorò, costruì, manipolò la costola "in mulierem", con lo scopo di ottenere la donna, fino al prodotto finale. Niente di sostanzialmente nuovo, ma una forma nuova della vecchia sostanza: una sua ulteriore elaborazione verso un "prodotto" più pieno e completo. Essendo la donna creata ai fini della comunicazione, non può essere una semplice ripetizione dell'uomo. E' vero che la comunicazione avviene tra pari, ma non fra persone perfettamente identiche. E' soltanto un'uguale diversità o una diversità uguale che suscita il desiderio di comunicare la parola, perché essa trovi la sua naturale soddisfazione. Così nel rapporto Padre-Spirito Santo, così nel rapporto uomo-donna. La molla della comunicazione è nella consapevolezza che la vita può arricchirsi di contenuti e significati sempre nuovi. Non basta recepire la parola, a mo' di pappagallo, bisogna darle forma nuova e vita nuova.

23 "E disse Adamo..."

Finalmente la parola erompe dalle labbra dell'uomo in un'esultanza di gioia. La Parola di Dio si manifesta nell'esteriorità per creare la novità, la parola dell'uomo per comunicare la scoperta della novità. La parola di Adamo trova, finalmente, in Eva il suo specchio e il suo completamento. Non più una parola che, semplicemente, chiama la creatura, ma una parola che parla con la creatura.

"Questo ora osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne. Questa sarà chiamata "uoma", perché dall'uomo è stata tratta".

La donna è completamento dell'uomo, non solo in senso carnale, ma ancor più e ancor  prima in senso spirituale. Come può la donna completare l'uomo spiritualmente, se non nella Parola e con la Parola? Tale realtà è adombrata in un gioco formale non traducibile nella nostra lingua. "Questa sarà chiamata "virago"  ( isa in ebraico ) perché da "vir" ( is in ebraico ) è stata tratta". Cos'altro e' "virago", se non il completamento, l'arricchimento, la forma ultima della parola "vir"? La stessa Volgata ha dovuto "forzare" la lingua latina per rendere questo significato. "Virago" è, in realtà, per i Latini la donna mascolina, diversa in rapporto alla sua femminilità e non all'uomo: qui , al contrario, la sua femminilità è tutta nella sua diversità dall'uomo, una diversità complementare, non antitetica. Se fosse lecito forzare ulteriormente il senso della parola "virago", scindendola in vir ( uomo ) + ago ( conduco ), potremmo intendere che la donna è completamento dell'uomo in quanto è colei che conduce spiritualmente l'uomo nel cammino verso Dio.
L'immagine esistenziale dell'uomo che guida la donna, tenendola per mano, è il risultato di un capovolgimento rispetto alla dimensione essenziale. In quanto prodotto ultimo della creazione, la donna è la creatura più perfetta, più completa, sia in senso materiale che spirituale. Spetta a lei la funzione di guida del corpo umano. In Eden la donna è "capo" dell'uomo. Non a caso è affidata a Eva la procreazione della vita, in quanto strutturata, formata per portare l'uomo alla vita.
Nella dimensione esistenziale ciò che è derivato è sempre inferiore a ciò che è originario. Nella dimensione essenziale è vero il contrario: ciò che viene per ultimo è sempre superiore a ciò che viene prima, in quanto si procede verso forme sempre più perfette e conchiuse. Dopo il peccato d’origine, che ha visto un abuso dell’autorità femminile rispetto a quella maschile, l’uomo sarà a capo della donna per comando divino. Dovrà recuperare una sua priorità  non soltanto temporale ma spirituale. Le velleità autoritarie della donna dovranno essere sottomesse all’autorità dell’uomo, assai poco incline ad una funzione di comando e ancor meno illuminato in una guida che è sacrificio e rinnegamento di se stesso.

24 "Per questa ragione lascerà l'uomo il padre suo e la madre e si unirà alla sua donna e saranno due in una sola carne".

L'uomo è fatto per essere completato dalla donna, ma conforme alla Legge di Dio, la quale non ammette ambiguità e falsità nella struttura della famiglia terrena, perché ad immagine di quella celeste. L'uomo lascerà il "padre suo", perché nell'autentica famiglia c'è un solo padre; in quanto alla madre è superfluo aggiungere "sua", perché di madri, si sa, ce n'è una sola.
"E si unirà alla sua donna": sua, non solo in quanto fatta apposta per lui, ma anche per distinguerla dalla donna che sua non è. "E saranno due in una sola carne": due persone diverse indissolubilmente legate in un'unica realtà o in un unico essere. E non si è una sola carne se non si è solo in due. E non è certo la convivenza o la vicinanza dei genitori che impediscono la nascita e la crescita di una nuova famiglia.
Guai a chi legge la Bibbia secondo le categorie umane e mondane, per giustificare e nascondere la mancanza d'amore! Non si abbandonano i genitori al loro destino di anziani con la scusa che..., semmai si amano in modo più pieno e consapevole, allorché da figli siamo chiamati noi stessi a diventare padri, pur continuando ad essere figli.
Si è padre o madre solo nel tempo e per un tempo limitato; si è figli nel tempo e per l'eternità. Misero quell'uomo che non si sente più figlio e non vive più nell'obbedienza dei figli. Non vi è paternità o maternità così grande e responsabile che si possa sovrapporre alla nostra vocazione unica e primaria di figli di Dio. Dopo aver esaltato la grandezza e la bellezza dei due in un'unica carne, si aggiunge:

25 "Ma erano entrambi nudi, s'intende Adamo e sua moglie e non arrossivano".

Il "ma" non sottolinea una contraddizione rispetto alla loro natura essenziale, ma rispetto alla nostra natura esistenziale. Erano due in una sola carne, solo perché entrambi nudi, cioè semplici, privi delle sovrastrutture e complicazioni del peccato, e solo perché puri di cuore erano in grado di affrontare il loro essere l'uno nell'altra, senza arrossire per turbamento alcuno. Ma questa è storia di altri tempi. E' subito spenta l'illusione che si possa, in qualche modo, ricuperare, dopo il peccato, l'originale rapporto tra l'uomo e la donna. Il ricupero è solo limitato e parziale, neppur essenziale, e, in ogni caso, segue categorie diverse e contrarie rispetto a quelle originali. L'uomo e la donna non possono più specchiarsi l'uno nell'altra in modo spontaneo, immediato, così come sono, ma soltanto nella sottomissione alla Parola di Dio che li riveste in modo nuovo, diverso e, non perché innanzitutto si ritrovino l'uno nell'altra, ma perché innanzitutto si difendano l'uno dall'altra. Qualsiasi rapporto tra l'uomo e la donna che segua la vie della natura e non quelle del comandamento divino è destinato a fallire. L'uomo non è più in grado di portare la propria sessualità, ma solo di sopportarla con l'aiuto del Signore. Il rapporto dell'uomo con la donna è tanto più "nudo", puro spiritualmente quanto più è rivestito da Dio e si riveste del Suo comandamento. Non si riscopre l'originaria purezza del cuore scoprendo la propria nudità, ma soltanto coprendola, così come vuole il Signore. Non esiste una naturale evoluzione del costume che vanifichi la Legge di Dio, semmai è la Legge di Dio che vanifica ogni evoluzione del costume. Povero uomo che pensi di arricchirti, esibendo la nudità del tuo corpo: il Satana ti farà conoscere ben altra nudità.
Vero è che l'originaria bontà del rapporto uomo-donna non ha avuto in Eden una crescita: la caduta e' avvenuta troppo presto. Non mancano elementi che mettono in risalto come esso, seppur grande e bello, non è giunto alla sua dimensione ed espressione più piena. Perché mai Adamo esclama: "Questo ora osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne" e non usa, invece, un'espressione dal sapore più spirituale, del tipo: Questo, anima dalla mia anima, cuore dal mio cuore? In realtà il rapporto tra Adamo ed Eva, all'origine, è ancora bambino, è più in una dimensione di godimento materiale che spirituale: una “materialità” buona, s'intende, non macchiata dal peccato, ma che è altro dalla pienezza dello Spirito Santo. Adamo trova in Eva il suo completamento per quel che riguarda la comunicazione di vita, ma è una vita innanzitutto legata ai sensi, che muove i primi passi verso lo Spirito di Dio. Il rapporto uomo-donna si è fermato ad uno stadio molto iniziale. Vi è un “bambinismo” maschile e vi è un bambinismo femminile, che hanno caratteristiche diverse, ma che entrambi si ricollegano ad un punto morto, in cui tutto si è fermato. L'uomo si ritrova ad avere atteggiamenti e comportamenti bambini nei confronti della donna, soprattutto in senso carnale: viceversa la donna si ritrova bambina in senso psicologico. Ma è un bambinismo colpevole e non innocente, si ricollega ad un momento di caduta e non di crescita, va combattuto e non coltivato. Sensualità e psicologismo sono i due aspetti prevalenti nel rapporto uomo-donna, come le due facce della stessa medaglia, non sono controllabili, se non in un cammino di crescita nello Spirito di Dio.

 

 

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