Cap.3

Cap. 3
Similmente le mogli siano sottomesse ai loro mariti, affinché anche se alcuni non obbediscono alla parola, per mezzo della condotta delle mogli siano guadagnati senza parola, 2 avendo osservato la vostra pura condotta nel timore. 3 Delle quali sia ornamento non l’esterno di trecce di capelli e l’ adornarsi di ori o il vestirsi di abiti, 4 ma l’uomo nascosto del cuore nell’ incorruttibile ornamento del mite e tranquillo spirito, che è prezioso davanti a Dio. 5 Così infatti un tempo anche le sante donne speranti in Dio adornavano se stesse sottomettendosi ai propri mariti, 6 come Sara obbedì ad Abramo chiamandolo signore, della quale siete diventate figlie facendo il bene e non temendo nessuno spavento. 7 Voi mariti, similmente siate coabitanti secondo la conoscenza, come per un più debole vaso quello femminile, siate attribuenti loro onore come anche a coeredi  della grazia della vita così che non siano ostacolate le vostre preghiere. 8 Infine poi siate tutti unanimi, compassionevoli, amanti dei fratelli, misericordiosi, umili, 9 non rendendo male per male od oltraggio per oltraggio, al contrario invece benedicendo perché per questo siete stati chiamati, affinché ereditiate la benedizione. 10 Infatti colui che vuole amare la vita e vedere giorni buoni trattenga la lingua dal male e le labbra per non dire inganno! 11 Si allontani poi dal male e faccia il bene, cerchi la pace ed essa persegua; 12 perché gli occhi del Signore sono suoi giusti e i suoi orecchi verso la loro preghiera, ma il volto del Signore contro chi fa il male. 13 E chi è colui che farà del male a voi se sarete diventati zelanti del bene? 14 Ma qualora anche soffriste a causa della giustizia, beati voi! Ma  di loro non abbiate paura, né siate turbati. 15 Invece santificate nei vostri cuori il Cristo Signore, sempre pronti a difesa a ognuno che chiede a voi ragione circa la vostra speranza, 16 ma con mitezza e timore avendo una coscienza buona, affinché in ciò per cui siete sparlati siano svergognati quelli che oltraggiano la vostra buona condotta in Cristo. 17 E’ meglio infatti, se lo voglia la volontà di Dio, soffrire  facendo il bene che facendo il male. 18 Perché anche Cristo una volta per tutte soffrì per i peccati, giusto per gli ingiusti, per avvicinarvi a Dio, messo a morte sì nella carne ma reso vivo nello spirito. 19 In questo anche agli spiriti in carcere, andato, annunciò la salvezza, 20 a quelli essenti disobbedienti un tempo quando la pazienza di Dio attendeva fiduciosamente, nei giorni di Noè quando si preparava l’arca in cui pochi, cioè otto anime furono salvate per mezzo della acqua. 21 La quale essendo antitipo anche voi adesso salva come immersione, non deposizione di sporcizia della carne, ma richiesta a Dio di una coscienza buona per mezzo della risurrezione di Gesù Cristo, 22 che è andato alla destra di Dio in cielo essendo stati sottomessi a lui angeli e potestà e potenze.

1 Pietro cap. 3
“Similmente le mogli siano sottomesse ai loro mariti, affinché anche se alcuni non obbediscono alla parola, per mezzo della condotta delle mogli siano guadagnati senza parola, 2 avendo osservato la vostra pura condotta nel timore.”
Vi è un’obbedienza più difficile da comprendere, che pure è da noi dovuta per amore di Cristo a coloro che entrano nella nostra vita di forza, come estranei, e vi è un’obbedienza anche e soprattutto alle persone che vivono accanto a noi in un legame spirituale.
Innanzitutto il vincolo coniugale che vede la donna in una posizione di maggiore debolezza rispetto all’uomo. Quale donna, già per sua natura non è tentata di prevaricare e di prevalere sul proprio marito? Le mogli siano esempio di sottomissione al marito, non solo a quelli che hanno fede in Cristo ma anche a quelli che non hanno fede.
Non c’è solo la testimonianza che è data dalla parola , ma vi è anche quella che è data dall’obbedienza alla parola. La nostra obbedienza al Signore ha una ricaduta di grazia non solo su di noi, ma anche sulle persone con cui viviamo, soprattutto per coloro che formano con noi una sola carne.
“Siano guadagnati”, come anche primariamente Cristo ci ha guadagnati al Padre in virtù di una vita per noi sacrificata.
Le ragioni di verità che noi possiamo portare davanti a una persona, se pure hanno una loro forza, non hanno la potenza che è donata da Dio a coloro che si fanno obbedienti a tutto e a tutti per Suo amore. In un tempo in cui si pensa che il dialogo possa e debba entrare in tutti i rapporti umani, a cominciare dai più stretti, ci è detto da Pietro che non in questo modo si risolvono i problemi relazionali. Non dobbiamo innanzitutto preoccuparci di creare un confronto tra le nostre idee e convinzioni e quelle degli altri, ma di dare esempio di sottomissione umile e silenziosa. Chi tace consente, dice il proverbio. Cristianamente non è così. In certe situazioni il silenzio è affermazione massima della Parola di Dio che mette a tacere ogni lingua, a cominciare dalla nostra.  Altro è il tacere che è disobbedienza a Dio, altro è il tacere che si fa per volontà di Dio. Se non parla la nostra bocca, parlano per noi le nostre azioni e le buone opere, che attestano chiaramente una retta coscienza che riposa nella certezza della verità.  “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedendo le vostre buone opere glorifichino il Padre che è nei cieli”. Non le opere che esaltano la nostra grandezza, ma quelle che manifestano la pienezza di gioia di un cuore che ha fatto piccola la propria parola, perché sia in noi esaltata e magnificata l’opera del Signore. 
“Non bisogna forzare il senso del testo, quasi che ci fossero due modi di annuncio: uno con la parola e uno silenzioso. No, c’è un solo modo di annuncio perché, come abbiamo già ricordato, “la fede è dall’ascolto (fides ex auditu), ma l’ascolto è mediante la parola di Dio ( auditus autem per verbum Christi )” ( Romani 10,17). La testimonianza silenziosa è ciò che provoca la domanda, che porta a chiedere e ad ascoltare, è ciò che affascina in modo da generare il desiderio dell’ascolto o che apre all’adesione a quanto si era udito senza cura. La testimonianza compiuta è sempre resa dalla parola; la testimonianza silenziosa è preparatoria e concomitante, ma non sostitutiva dell’ascolto e della voce. È importantissimo questo, perché al riguardo ci sono dei grossi pregiudizi, molto diffusi ancora nel mondo di oggi e elevati a principio, per cui in certi ambienti non si deve parlare del Vangelo. Una accecamento a mio parere gravissimo: un inganno, in buona fede, con una specie di pregiudizio contrario alla parola, dimenticando che è lei lo strumento della trasmissione della verità, è lo strumento di cui Dio si è servito. L’adesione è sempre alla Parola, e dalla testimonianza si è guadagnati ad ascoltarla e a crederla”  (Umberto Neri)

“avendo osservato la vostra condotta pura nel timore.”

È condotta pura quella che non ha doppi fini, non per timore dell’uomo, ma solo ed esclusivamente per timore di Dio: non passa inosservata, né da coloro che ci vedono da vicino e neppure da coloro che ci vedono da lontano.

“3 Delle quali sia ornamento non l’esterno di trecce di capelli e l’ adornarsi di ori o il vestirsi di abiti, 4 ma l’uomo nascosto del cuore nell’ incorruttibile ornamento del mite e tranquillo spirito, che è prezioso davanti a Dio.”

Niente di più spontaneo e di naturale per una donna della continua ricerca di un abbellimento del  proprio corpo: non possiede arma più potente della bellezza fisica per conquistare l’uomo. Per alcune donne diventa quasi una autentica forma ossessiva e maniacale: ne abbiamo un continuo esempio sotto gli occhi, oggi più che mai. La donna che ha già trovato in Cristo il proprio sposo spirituale ha un atteggiamento diverso nei confronti del proprio sposo secondo la carne. Non vuole portarlo a sé, ma vuole portarlo a Cristo. Cerca nell’amore dell’uomo il proprio completamento, ma solo nel Signore e per il Signore. Non trascura il decoro della propria persona, ma sempre in una misura improntata alla modestia, che manifesta da un lato riguardo e rispetto per il proprio uomo, e nel contempo ancora di più rivela il proprio amore per Dio. Un amore pieno e ridondante che porta con sé ogni pace e gioia; un amore che unicamente compie uno dei miracoli più grandi: mette a tacere il mormorio o brusio, pieno di ansia e infelicità che così facilmente la donna riversa sul proprio uomo.

4 ma l’uomo nascosto del cuore nell’ incorruttibile ornamento del mite e tranquillo spirito, che è prezioso davanti a Dio.”


Non c’è creatura peggiore della donna brutta nel cuore, che non porta in sé e con sé la mitezza e la tranquillità di uno spirito che non si corrompe, prezioso davanti a Dio. Troppo spesso e troppo facilmente gli uomini, vedono ed apprezzano la bellezza femminile esteriore, assai raramente quella interiore.

“Così infatti anche un tempo le sante donne speranti in Dio adornavano se stesse sottomettendosi ai propri mariti”,

Donne di simil fatta sembrano sempre donne di altri tempi, cioè donne la cui diversità ha lasciato un segno ed un ricordo nella memoria collettiva.
Qual è l’ornamento più bello, più grande, più prezioso per una donna che ha posto in Cristo la propria speranza? La sottomissione al proprio marito. Un amore fatto  di affetto silenzioso, di obbedienza continua, di servizio pronto. Non c’è fascino più grande di quello di quello che porta in sé e con sé la donna che sa tenere chiusa la bocca anche quando potrebbe dire ed avrebbe da dire. Scioglie i cuori più duri, fa bella e visitata da Dio la propria famiglia. Ogni gioia ed ogni sofferenza traspaiono sul suo volto in maniera velata, contenuta, espressione esteriore di un’obbedienza interiore al Signore che sa mettere a freno ogni atteggiamento impulsivo e scomposto.


“6 come Sara obbedì ad Abramo chiamandolo Signore, della quale siete diventate figlie facendo il bene e non temendo nessuno spavento.”

Come Abramo è il primo modello di una fedeltà coniugale in Cristo, così va detto di Sara, sua sposa. Un rapporto a due non facile e non sempre limpido e trasparente che conosce anche una complicità nella menzogna e nella finzione, è riscattato da un’obbedienza che ha il cuore femminile.

Sara in tutto e per tutto obbedì ad Abramo, chiamandolo Signore, a lui sottomessa, a lui legata sempre ed ovunque anche nei momenti più difficili ed oscuri della vita. Se di ogni uomo redento in Cristo si può dire, per quel che riguarda la fede, che è figlio di Abramo, così di ogni donna si deve dire che è figlia di Sara,  per l’obbedienza al proprio sposo.
Primo segno della fede in una donna? Una diversa ed illuminata sottomissione al proprio uomo, con ogni opera buona e con un cuore che riposa sereno, senza timore e spavento alcuno, fatto forte dal Signore.

“7 Voi mariti, similmente siate coabitanti secondo la conoscenza, come per un più debole vaso quello femminile, siate attribuenti loro onore come anche a coeredi  della grazia della vita così che non siano ostacolate le vostre preghiere.”

Se alla donna è chiesta l’obbedienza al marito, al marito è chiesto un comportamento illuminato da una conoscenza che viene dal Signore. Nessun sopruso e nessuna violenza nei confronti di una creatura più debole e fragile, ma un atteggiamento vigile e attento ai bisogni altrui, senza presunzione alcuna di superiorità. E  questo nella consapevolezza che la donna è coerede della vita che è donata dal Signore:  tutto ciò che è dato all’uno è anche per l’altra e viceversa. Non è possibile una preghiera ininterrotta al Signore se non in una comunione piena e responsabile dei cuori che vogliono camminare e crescere insieme nella grazia che viene dal cielo. Quando il rapporto a due si incrina, la preghiera diventa più difficile e faticosa. Non si può andare avanti, se non c’è volontà di sanare contrasti, incomprensioni, atteggiamenti di reciproca insofferenza.
“Pietro si è pronunciato dunque su tre delle forme più diffuse di potere opprimente che ci possono essere: il potere politico (lo Stato, il re e i governatori), il potere economico (i padroni) e il maschilismo familiare (i mariti). Riguardo a tutte e tre dà a chi le patisce l’indicazione di sottomettersi, ma riguardo a tutte e tre dà chiaramente l’indicazione di non temere e di essere liberi, per il Signore.
Con il versetto sette, infine, il discorso sulla vita familiare passa al termine corrispettivo e cioè al comportamento dei mariti verso le mogli, esprimendosi nettamente in parallelo con la lettera agli Efesini sul rapporto schiavi-padroni (cf. Ef. 6,5-9). Là Paolo faceva un invito stranissimo, quasi incomprensibile, perché dopo aver detto: “ Schiavi, obbedite ai vostri padroni”, aggiungeva: “Anche voi padroni comportatevi allo stesso modo verso di loro”; qui Pietro invita le mogli a sottostare ai mariti e dice agli uomini: voi fate ugualmente…
Perché partecipano con voi della grazia della vita”. L’identità del cristiano, ha detto fin dall’inizio l’apostolo, è la grazia di una vita nuova tesa alla speranza viva, alla eredità alla quale siete stati chiamati, cioè alla salvezza prossima a manifestarsi (cf.  1,3-5). Se questo deve essere il vero vanto, le vostre mogli hanno una gloria in sè non inferiore alla vostra. L’eredità che è preparata per loro è la stessa che è preparata per voi, sono coeredi, insieme con voi. Non partecipano dell’eredità attraverso di voi, ma sono direttamente oggetto dell’amore di Dio e destinatarie dei beni dei cieli. Quindi c’è uguaglianza al livello più alto, più incontrovertibile e inconfutabile, uguaglianza sul piano essenziale della vocazione cristiana…
Così non saranno impedite le vostre preghiere. Qui ci sono due interpretazioni possibili e, secondo me, ambedue presenti: la prima è l’ammonizione evangelica a chi ha qualcosa contro un altro ad interrompere la sua offerta davanti all’altare, riconciliarsi prima con suo fratello e poi tornare (cf. Matteo 5,23-24). Se uno vive nel disaccordo con i propri intimi, nella propria famiglia, la sua preghiera è ostacolata. Il cristiano è costituito come sacerdozio santo per offrire vittime spirituali (cf. 2,5), ma non può offrire vittime prima di essersi riconciliato, di aver ristabilito cioè nel profondo del suo essere, nell’intimo della sua vita familiare, quell’armonia che sola rende legittima la preghiera. La seconda interpretazione, a mio giudizio prevalente, è che nella famiglia sono i mariti ad avere in modo diretto il compito sacerdotale, come nella famiglia ebraica. Sono gli uomini maturi, i mariti, che indossano il tallit e vanno nelle sinagoghe, pregano e alzano le mani. E le donne non partecipano alla preghiera? Ma certo! La figura della donna in Israele è stupenda. È lei che domina nettamente nella vita religiosa della famiglia, organizza il sabato ed è di fatto il perno della vita di fede della casa. Ma il compito sacerdotale, il compito di intonare la preghiera, dirigerla e concluderla, svolgendo nella famiglia la funzione di sacerdote, il sacerdozio ministeriale, è dell’uomo, del marito. Non c’è nulla da fare e da sindacare e bisogna saperlo perché si capisca la parola di Pietro: “affinché non siano impedite le vostre preghiere”. È il pensiero anche della prima lettera di Timoteo: “Voglio dunque che gli uomini preghino in ogni luogo alzando mani sante senza ira e discussione” (1 Timoteo 2,8). Le parole di Pietro, quindi non fanno solo riferimento alla norma generica che impone armonia e pace come requisiti per pregare, ma anche alla necessità che i mariti vivano in quella condizione (senza ira, senza minacce) che consente loro di esercitare in famiglia il compito sacerdotale.” (Umberto Neri)

“8 Infine poi siate tutti unanimi, compassionevoli, amanti dei fratelli, misericordiosi, umili, 9 non rendendo male per male od oltraggio per oltraggio, al contrario invece benedicendo, perché per questo siete stati chiamati, affinché ereditiate la benedizione.”

Nella comunità degli eletti dobbiamo essere tutti un cuor solo ed un’anima sola, pieni di viscere di misericordia gli uni verso gli altri, umili, come coloro che sono consapevoli di nulla possedere in proprio, ma di aver ricevuto tutto in dono. Non si deve rendere male  per male e pagare con la stessa moneta chi ci ha portato  oltraggio. La nostra bocca sia piena di ogni benedizione. Un cuore non incline alla benedizione aperta e conclamata è un cuore che non ha conosciuto l’amore del Signore.  Benedetti in Cristo dal Padre, benediciamo nello stesso Cristo, per fare grande il suo nome, perché tutti conoscano la sovrabbondanza di un amore che vuol riversarsi in tutti i cuori. Niente a che vedere con le buone maniere del comportamento umano, ma una vera e propria chiamata, una vocazione che è il tratto distintivo di ogni cristiano. Gli altri facilmente maledicono, noi ancor più facilmente benediciamo, perché questa è volontà di Dio: che tutti gli uomini siano resi consapevoli che ogni bene è venuto a noi dal cielo. Ma bisogna aprire la mente per invocarlo, la bocca per annunciarlo, il cuore perché possa entrare  e trovare stabile dimora.
“affinchè ereditiate la benedizione”. La benedizione da noi accolta e portata su questa terra in un tempo e per un tempo deve diventare bene perenne, ereditato dal nostro Signore, che ci ha benedetto con ogni benedizione spirituale in Cristo Gesù.
“Benedire chi maledice è proprio della vocazione cristiana; si deve arrivare fino a questo punto: non soltanto di ricambiare col bene il bene ricevuto, nella gratitudine, il che è ovvio, ma di vincere il male con il bene. Dice il testo: “Non prendete male per male, né ingiuria per ingiuria, ma, al contrario, rispondete benedicendo, poiché a questo siete stati chiamati (v. 9). Contrapporsi al male con il bene è tutt’uno con la chiamata cristiana, perché il Cristo fu maledetto e non rispose con maledizioni, né con oltraggi agli oltraggi ricevuti, ma benedisse e perdonò: “Padre, perdona loro” (Luca 23,34). In questo sta tutto il discorso della pace e del pacifismo cristiano; la grande obiezione che si fa contro i discorsi più radicali contro la violenza, è che in questo modo si lasci prevalere il male, non soltanto a danno personale ma anche altrui. La risposta cristiana è semplice, elementare: il bene non è una rassegnazione passiva, una sconfitta che si subisce; il bene è una potenza, energia di Dio operante nella storia, che vince. Il bene conquista e sconfigge il male, il bene soltanto mette fine alla catena delle vendette e delle ritorsioni, della prepotenza e del sopruso. “Non lasciarti vincere dal male – altrimenti entri nella sua logica, rispondendo con violenza alla violenza, con l’uccidere chi uccide – ma vinci con il bene  il male” (cf. Romani 12,19-21 ). Ecco il pacifismo autenticamente cristiano, che non è di rassegnazione e di sconfitta. Chi non ha la fede difficilmente crede fino in fondo a questa potenza vittoriosa del bene. Chi ha la fede sa, invece, che quando ci si consegna a Dio e si affida a Dio la propria causa, Dio interviene. È una scelta di fede che, se noi abbiamo il coraggio di fare, non sarà mai smentita, perché Dio non delude e non abbandona…
Come si è chiamati a sopportare ingiustamente, così si è chiamati a benedire chi maledice. Non semplicemente a fare il bene, non semplicemente a soffrire con pazienza, ma a soffrire ingiustamente. “A questo siete stati chiamati” : è un richiamo fortissimo all’essenziale della vita cristiana, come è delineato nel momento elementare, assolutamente incipiente e generante, della chiamata alla fede e della adesione a Cristo Gesù, nella iniziazione cristiana. L’esempio di Cristo è alla radice di tutto. Il battesimo chiama ad agire così, perché anche  Cristo ha sofferto ingiustamente. Non ha chiamato semplicemente a ricambiare il bene con il bene, a essere buoni, ma a ricambiare con il bene il male, perché il Cristo ha fatto così.” (Umberto Neri)

“10 Infatti colui che vuole amare la vita e vedere giorni buoni trattenga la lingua dal male e le labbra per non dire inganno!”

Falso ed ingannevole è ogni amore alla vita che non sia in Cristo e per Cristo. Nessun giorno può dirsi buono senza la benedizione del Signore. Non esca dunque dalla nostra lingua parola alcuna che non sia di lode al Signore e di benedizione per le sue creature. Non inganniamo con le labbra gli uomini già ingannati dal Maligno, ma diciamo la verità a tutti senza timore.

“11 Si allontani poi dal male e faccia il bene, cerchi la pace ed essa persegua;”

Non c’è vicinanza alla Verità che non sia lontananza dal peccato. Non opera il bene se non colui che fugge da ogni male. Non possiede la pace chi non la cerca e la persegue come l’unico bene prezioso.

“12 perché gli occhi del Signore sono sui giusti e i suoi orecchi verso la loro preghiera, ma il volto del Signore contro chi fa il male”.

Non si illuda di godere dello sguardo amoroso del Signore chi vive nell’ingiustizia del Maligno, e non pretenda di arrivare con la preghiera alle orecchie del Padre che è nei cieli chi ha chiuso le proprie orecchie all’ascolto della parola che genera la fede. Chi non ha fede in Cristo Gesù porterà su di sé il peso di un volto divino, fatto duro a causa del nostro peccato.

“13 E chi è colui che farà del male a voi se sarete diventati zelanti del bene?”

Liberati dal potere del Maligno, chi potrà fare a noi del male, se saremo perseveranti nelle opere di bene che vengono dalla fede in Cristo?

“14 Ma qualora anche soffriste a causa della giustizia, beati voi!”

C’è una sofferenza che viene a noi non in quanto ingiusti, ma in quanto fatti giusti dal Cristo. E questa è somma benedizione, perché è segno inconfutabile della nostra assimilazione a Gesù Salvatore, quando abbiamo parte alla croce da lui portata per la salvezza dei molti.

“Ma  di loro non abbiate paura, né siate turbati”.
Nessuna paura e nessun turbamento del vecchio uomo può entrare in noi: siamo creature fatte nuove in virtù di uno Spirito nuovo.

“15 Invece santificate nei vostri cuori il Cristo Signore”,

Un solo pensiero è entrato nella nostra testa come chiodo fisso: santificare nei nostri cuori il Signore Cristo,  Lui volendo,  Lui cercando, Lui amando, in maniera unica ed esclusiva.

“sempre pronti a difesa a ognuno che chiede a voi ragione circa la vostra speranza”,

La diversità di chi è discepolo di Cristo non passa inosservata: derisa e calunniata dai più, trova sempre qualche cuore che vuol sapere e conoscere. Sempre pronti a difesa ( apologia ), renderemo ragione a chiunque della speranza che è nei nostri cuori, perché la disperazione portata dal demonio  sia vinta dall’annuncio della vittoria del Cristo, che ci ha liberato da colui che ha il potere della morte. Molto spesso si sottolinea l’importanza di una difesa e di una spiegazione fatta a rigore di logica, sottolineando la razionalità della speranza cristiana. Ci sembra che Pietro non sia tanto interessato all’aspetto razionale di un discorso, quanto alla sua serietà e veridicità. È vero quello che esce dalla bocca di un cuore fondato in Colui che è verità. Quando c’è in noi il Signore, sarà il suo Spirito a mettere sulle nostre labbra le parole che portano luce e volontà di conversione. La testimonianza delle persone dotate di maggiore razionalità, non per questo solo è più potente ed efficace di quella data da una mente semplice, povera per quel che riguarda la logica del discorso, ma saldamente radicata nella fede. La potenza della Parola non si risolve nella forza della sua struttura logica, ma dalla prontezza, e dall’autenticità di una mente sempre aperta all’opera dello Spirito Santo. È scritto che non dobbiamo preoccuparci di quello che dobbiamo dire: sarà lo Spirito Santo a parlare in noi, in modo diverso a secondo di persone e situazioni diverse, irradiando non la luce che viene dall’uomo, ma quella che passa da uomo a uomo per volontà e grazia di Dio. Sempre pronti, non perché fatti forti  da un discorso razionalmente ben costruito, ma da una presenza continua al Signore che parla in noi e attraverso noi.
Molte persone si danno da fare per difendere le ragioni della fede: molto meglio l’apologia che viene da una vita in santità, sempre presente al Signore, sempre pronta a rendere conto con la parola, perché sempre presa dall’ascolto  della Parola. Troppi inutili discorsi riguardo a Cristo. Molto meglio la testimonianza di chi vive in uno spirito di perenne preghiera, aperto in ogni momento all’opera dello Spirito Santo.  Menti insigni ed eccelsi oratori sanno accendere grandi fuochi, ma sono fuochi di paglia. Il tempo manifesterà quel che vale la parola di ognuno. Non basta un semplice indottrinamento ed un maestro persuasivo: prima ancora della parola che esce dalla sovrabbondanza della ragione, c’è quella che esce dalla sovrabbondanza di un cuore fatto pieno dalla presenza del Cristo.
“pronti sempre a rispondere (pros apologhìan ) a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”.
Qui si ha proprio l’impressione di essere in un processo descritto dagli “Acta martyrum”. Cristo si può santificare con la bocca, nella proclamazione, nel canto, nella liturgia, ma intanto, mentre vi torturano e vi minacciano di morte, voi nel cuore dite sempre: “Tu solo sei il Signore, Cristo Gesù”. Pronti a rendere ragione (v.15) si applica a tutta l’esistenza cristiana, ma qui, soprattutto, emerge di fronte alla persecuzione o di fronte alla irrisione, come prontezza alla difesa. Apologhia è un termine giuridico, come troviamo nell’epistolario Paolino: “nella mia prima apologia non c’era nessuno a difendermi”. (2 Timoteo 4,16), e richiama direttamente il momento in cui il martire è davanti al giudice inquirente che sta per pronunciare la sentenza. Non si è capaci di  questa difesa se non si è, a questo riguardo, pronti. In cosa consiste questa prontezza? Non è questione di preparare discorsi. “Quando vi condurranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi come discolparvi o che cosa dire; perché lo spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire (Luca 12,11-12). Non preparate le cose che dovrete dire perché sarà lo spirito Santo a comunicarvele in quel momento. Le parole non sono nostre, vengono da altrove; è un momento talmente emergente e singolare, talmente benedetto perché lo spirito Santo riposa sopra di voi, che vi sarà data una sapienza alla quale non potranno resistere tutti i vostri oppositori e coloro che vi contraddicono. L’esser pronti non è l’avere preparato l’arringa di difesa, ma consiste, questa è una indicazione precisa, nel sapere il perché della vostra speranza, con lucidità, con chiarezza, in modo convincente. Ciascuno  di voi ha aderito al Cristo con coscienza, sapendo quello che faceva; dovete dunque sapere quello che avete fatto, il perché credete. I cristiani sono popolo profetico, e l’annuncio della verità è posto sulla bocca di tutti; non si può essere nella incapacità di giustificare la professione della fede. È importantissimo per la vita familiare e per la vita sociale, perché fa parte della vocazione cristiana, è un compito ineludibile. Tutti hanno il diritto di chiedere al credente una testimonianza chiara e limpida del perché crede e del che cosa spera. L’immagine di questo popolo mite, umile, modesto, inerme, come abbiamo visto ad esempio per la donna e per lo schiavo, emerge e acquista una statura e una potenza impensabile, una grande gloria… Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto (letteralmente timore). Il rendere ragione, a sua volta, non può essere orgoglioso: è gioioso, franco, non titubante, non esitante, non tremante, ma non è orgoglioso e non è vanteria; anche allora il volto del cristiano non deve tendersi e contrarsi nella violenza e nella tensione, deve rimanere il volto dell’agnello, della persona buona, mite e dolce.” (Umberto Neri)

“16 ma con mitezza e timore avendo una coscienza buona, affinché in ciò per cui siete sparlati siano svergognati quelli che oltraggiano la vostra buona condotta in Cristo.”

Mitezza, timore, buona coscienza: sono garanzia di Verità.
Mitezza: appartiene al cuore che non vuole convincere, perchè già convinto dal Signore; non vuole attirare a sé , ma tutti portare a Cristo.
Timore: non  quello  creato dall’uomo e volto all’uomo. Vero timore è quello che viene da Dio e che guarda a Dio.
Buona coscienza: non esiste una buona coscienza data all’uomo per natura: è buona coscienza quella creata in noi dalla fede in colui che unicamente è buono.

“affinché in ciò per cui siete sparlati siano svergognati quelli che oltraggiano la vostra buona condotta in Cristo”.
Davanti a Dio, innanzitutto. Qualsiasi buona condotta in Cristo, va esaltata a Sua lode. Parli male di chi è discepolo di Gesù? Cerchi di far ricadere su di lui il peso della vergogna che l’uomo riversa sull’uomo? Ebbene sappi che in cielo si parla male di te: con vergogna è detto il tuo nome, come di un reprobo e di un predestinato alla dannazione.

“17 E’ meglio infatti, se lo voglia la volontà di Dio, soffrire  facenti il bene che facenti il male.”

Non sempre è lodato chi fa il bene. A volte si va incontro a sofferenze e ad umiliazioni molto grandi. Ma se è volontà di Dio che si debba soffrire facendo il bene, questa è una grazia che viene dal cielo: è la nostra assimilazione al Cristo Figlio di Dio.

“18 Perché anche Cristo una volta per tutte soffrì per i peccati, giusto per gli ingiusti, per avvicinarvi a Dio, messo a morte sì nella carne ma reso vivo nello spirito.”

Cristo una volta per sempre ha sofferto per i peccati. Ciò che nessun figlio di Adamo poteva fare, a causa della propria ingiustizia, l’ha fatto l’unico  giusto davanti a Dio Padre: l’eterno Figlio suo Gesù Cristo. Ha portato su di sé i nostri peccati sul legno della croce. Con la propria morte ha messo a morte l’uomo peccatore, con la propria resurrezione l’ha fatto rinascere a vita nuova. Coloro che un tempo erano i lontani, ora sono i vicini a Dio Padre, in virtù di una atto di giustizia compiuto una volta per sempre dal Cristo. Messo a morte dall’uomo nella carne, per lo stesso uomo è stato reso vivo nello spirito, per liberaci dal potere del Maligno, perché in Lui e per Lui abbiamo vita eterna.

“19 In questo anche agli spiriti in carcere, andato, annunciò la salvezza, 20 a quelli essenti disobbedienti un tempo quando la pazienza di Dio attendeva fiduciosamente, nei giorni di Noè quando si preparava l’arca in cui pochi, cioè otto anime furono salvate per mezzo della acqua.”

È affermata e proclamata la portata universale del sacrificio del Cristo. La grazia che ne è venuta dal cielo è per tutti gli uomini di ogni tempo e di ogni spazio, anche per coloro che sono morti prima che il disegno salvifico di Cristo avesse compimento. E ancor più  per coloro che sono vissuti nel tempo della paziente attesa, allorchè Dio aveva tenuto come in sospeso quella che doveva poi diventare una decisione finale irreversibile. Il versetto non è di facile interpretazione. Non si può intendere se non rimovendo la lettura più accreditata nella Chiesa che vuole il sacrificio di Cristo come assolutamente necessario, per volontà di Dio, fin dall’eternità.
Di eternamente stabilito, ovvero di eternamente stabile, è soltanto la volontà di Dio di sacrificare il proprio Figlio, come atto estremo d’amore, qualora la creatura non  avesse accolto come il fondamento ed il fine della vita Colui nel quale e per il quale tutti sono stati creati, senza la cui luce, guida, grazia non vi è per l’uomo nessun cammino verso la vita eterna e nessun approdo ad essa.
L’Assoluta necessità del sacrificio del Cristo  si è venuta determinando nella storia  a causa del  peccato di Adamo, che liberamente, per volontà propria, ha rifiutato il Figlio di Dio. Quale la risposta da parte del Signore? Non ha reso pan per focaccia e male per male, ma ha mandato sulla terra lo stesso Figlio, perché il giusto pagasse per gli ingiusti. Portando su di sé nella propria carne il nostro peccato Cristo lo ha fatto morire sulla croce e ci ha fatti rinascere In Lui e per Lui a vita eterna. Quella che era  eternamente una semplice possibilità dell’amore divino, quasi l’ultima cartuccia, quella di riserva, la più grande, la più potente, oltre la quale nulla si poteva pensare, ( Scrive san Giustino che neppure il Diavolo avrebbe mai potuto immaginare qualcosa di simile ) … tutto questo si è reso necessario alla luce dei fatti, per il peccato compiuto da tutti in Adamo, un peccato che non ha conosciuto nei tempi successivi dell’esistenza umana alcun ravvedimento e pentimento, o volontà di ritorno all’amore di Dio Creatore. Il peccato dei figli di Adamo si è venuto sempre più accrescendo in forme e misure tali che vi fu un tempo in cui addirittura Dio pensò di distruggere l’uomo dalla faccia della terra. “ Ora vedendo Dio che si erano moltiplicate le cattiverie degli uomini sulla terra e chiunque ponderava nel suo cuore accuratamente malvagità tutti i giorni, ripensò Dio all’aver fatto l’uomo sulla terra e ponderò. E disse Dio: cancellerò via l’uomo che ho fatto, dalla faccia della terra, dall’uomo fino al bestiame e dai rettili fino ai volatili del cielo, poiché sono preso da furore di averli fatti. Noè invece trovò grazia al cospetto del Signore Dio” ( Gen 6, 5-8  dai Settanta).
Memore del suo eterno proposito d’amore il Signore salvò Noè unico giusto e la sua famiglia dal diluvio delle acque, perché nella nuova generazione si attuasse l’eterno disegno d’amore, che vuole tutti gli uomini salvi in virtù del sacrificio del Cristo.
“Disse il Signore Dio dopo aver ben pensato: “ Non continuerò più a maledire la terra per le opere degli uomini, poiché giace il pensiero dell’uomo, fin  nei dettagli, nelle malvagità, dalla giovinezza. “ ( Gen. 8,21 dai Settanta ).
Con la morte e resurrezione di Gesù l’opera salvifica  ha avuto il suo adempimento finale . Ma bisogna pur dire che è già chiaramente in atto in modo irreversibile dai tempi dei figli di Noè. Si può anche avere legittimamente dei dubbi per  l’umanità dei tempi che vengono prima del Diluvio. E a questo punto ci è dato di comprendere il discorso di Pietro. Rileggiamo attentamente:

“19 In questo anche agli spiriti in carcere, andato, annunciò la salvezza, 20 a quelli essenti disobbedienti un tempo quando la pazienza di Dio attendeva fiduciosamente, nei giorni di Noè quando si preparava l’arca in cui pochi, cioè otto anime furono salvate per mezzo della acqua.”

La rivelazione di Cristo salvatore a tutta l’umanità è stata annunciata, resa attuale ed operante dallo Stesso Cristo dopo la sua morte, quando in Spirito  scese nel carcere del regno dei morti, per liberare  coloro per i quali il giudizio era stato sospeso in attesa di quella rivelazione a loro non ancora annunciata e di quella salvezza per essi non ancora operante.
Il discorso si deve intendere in immagine. Si vuole semplicemente dire che per nessun uomo da Adamo in poi c’è salvezza se non in virtù del Salvatore mandato dal cielo. Se qualcosa rimaneva di incompiuto e di non completo tutto è compiuto con la morte e resurrezione del Cristo. ”Una volta per tutte”, un tempo per ogni tempo. Non si tratta di una salvezza retroattiva, ma di un modo di esprimersi in immagine, per far intendere che la salvezza di Cristo è efficace per tutti gli uomini, di tutti i tempi, anche per le prime generazioni di cui si parla in Genesi, riguardo alle quali possono emergere, dubbi, domande, incertezze. Comunque la si voglia intendere non c’è salvezza senza Cristo, e non c’è uomo che si possa collocare prima o fuori di questa salvezza, che ha operato tutto in tutti.

“21 La quale essendo antitipo anche voi adesso salva come immersione, non deposizione di sporcizia della carne, ma richiesta a Dio di una coscienza buona per mezzo della risurrezione di Gesù Cristo, 22 che è andato alla destra di Dio in cielo essendo stati sottomessi a lui angeli e potestà e potenze.”

Il riferimento è  all’acqua che è stata riversata sull’Arca di Noè. È detta antitipo, cioè immagine relativa a, con qualche rettificazione di senso: la prima acqua fu di salvezza perché tenne in vita, risparmiò quelli che erano nell’Arca, in virtù di una semplice rimozione di ogni sporcizia della carne. La seconda, che è l’acqua battesimale, non semplicemente  tiene in vita, ma dona vita nuova, in virtù dell’immersione nel sangue versato dal Cristo. Morti in Lui e con Lui, per Lui e con Lui risuscitiamo a vita eterna, deponiamo la cattiva coscienza acquistata in Adamo e ci è fatto dono di una buona coscienza a noi acquisita dal Figlio di Dio. E con ciò si conclude per sempre la storia della salvezza. Dopo la resurrezione , Cristo è tornato a sedere alla destra del Padre dopo aver sottomesso a sé angeli, potestà e potenze a Lui ribelli. E, aggiungiamo noi, con il Vangelo secondo Giovanni, dopo averci preparato un posto nella casa del Padre.
“per mezzo dell’acqua (meglio: attraverso l’acqua). Bisogna intendere bene. Gli otto non furono salvati “dall’acqua”, ma “dall’arca”, passando attraverso l’acqua. L’arca iniziò a navigare e l’acqua non li travolse.
“Figura, questa, del battesimo, che ora salva voi (letteralmente relativamente a ciò, come antitipo ora il battesimo salva anche voi). L’operazione raffigurata dall’arca si realizza ora pienamente nel battesimo salvifico. L’arca che salvò otto persone era il “tipo”, l’immagine prefigurante che ora si compie nella realtà: l’antitipo (ciò che corrisponde al tipo, la realtà da essa preannunciata) è il battesimo che ora salva. Ora, in contrapposizione ad allora (v. 20) è nuovamente la sottolineatura delle diverse epoche della storia della salvezza.” (Umberto Neri)

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