Lettera ai Romani cap2

 

 

 

                                        Cap.2

 

1 Perciò sei inescusabile, o uomo chiunque, giudicante; infatti mentre giudichi l’altro, condanni te stesso, infatti tu, il giudicante, fai le stesse cose.

2 Sappiamo ora che il giudizio di Dio è secondo verità su quelli che fanno tali cose.

3 Pensi poi questo, o uomo che giudichi quelli che fanno tali cose e che fai le stesse cose, che tu sfuggirai al giudizio di Dio?

4 O disprezzi la ricchezza della sua benevolenza e della tolleranza e della pazienza, ignorando che la bontà di Dio ti guida a conversione? 5 Ma secondo la tua durezza e di un cuore non convertito metti in serbo per te stesso ira nel giorno dell’ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio 6 che contraccambierà a ciascuno secondo le sue opere.

7 A coloro che secondo perseveranza di opera buona cercano gloria e onore ed incorruttibilità, vita eterna, 8 invece ai disobbedienti alla verità per ambizione, obbedienti all’ingiustizia, ira e sdegno. 

9 Tribolazione e angustia su ogni anima di uomo operante il male, Giudeo sia prima che Greco: 10 gloria invece e onore e pace a ognuno operante il bene, Giudeo sia prima che Greco: 11 infatti non c’è preferenza di persone presso Dio. 12 Quanti infatti senza legge peccarono, senza legge anche periranno e quanti nella legge peccarono, per mezzo della legge saranno giudicati. 13 Non sono infatti giusti presso Dio gli uditori della legge, ma i facitori della legge saranno giustificati.

14 Quando infatti i gentili che non hanno la legge, per natura fanno le opere della legge,  questi, legge non avendo, a se stessi sono legge. 15 Costoro dimostrano che l’opera della legge è scritta nei loro cuori, rendendo testimonianza di loro la coscienza e i pensieri accusanti o anche scusanti gli uni gli altri, 16 nel giorno in cui  Dio giudica le cose nascoste degli uomini secondo il mio vangelo per mezzo di Cristo Gesù.

17 Ma se tu porti il nome di Giudeo e ti appoggi sulla legge e ti glori in Dio  18 e ne conosci la volontà e discerni le cose eccellenti, essendo ammaestrato dalla legge, 19 sei convinto poi di essere te stesso guida dei ciechi, luce di coloro che sono nella tenebra,

20 educatore degli irragionevoli, maestro degli infanti, avente la rappresentazione della conoscenza e della verità nella legge.

21 Tu dunque, l’ammaestrante l’altro, non istruisci te stesso? Tu, il predicante di non rubare, rubi? 22 Tu, il dicente di non commettere adulterio, commetti adulterio? Tu, l’avente in abominio gli idoli, saccheggi i templi? 23 Tu che nella legge ti glori, per mezzo della trasgressione della Legge, disonori Dio. 24 Infatti il nome di Dio attraverso voi è bestemmiato tra le genti come è scritto

25 La circoncisione infatti certamente giova qualora tu pratichi la legge; qualora invece tu sia trasgressore della legge, la tua circoncisione è diventata  incirconcisione . 26 Se pertanto l’incirconcisione osserva le prescrizioni della legge, non sarà considerata la sua incirconcisione come circoncisione? 27 E la incirconcisione per natura adempiente la legge giudica te  trasgressore della legge per mezzo della lettera e della circoncisione. 28 Infatti non il manifestamente Giudeo tale è, né la manifestamente circoncisione nella carne tale è, 29 ma quello in segreto è Giudeo, e la circoncisione è del cuore  nello spirito, non nella lettera, del quale la lode non è da uomini, ma da Dio.

 

 

 

1 Perciò inescusabile sei, o uomo chiunque, giudicante; mentre infatti giudichi l’altro, condanni te stesso, infatti tu il giudicante fai le stesse cose.

Allorché uno spirito di giudizio  ha preso radice nel cuore dell’uomo, non si ferma al solo Dio, ma si allarga a tutte le creature, per vedere se sono buone. Mentre lo sguardo di Dio  infonde  la bontà del Creatore, lo sguardo dell’uomo fa cattivi i suoi simili, perché trasporta in essi la propria malvagità. Il Signore scruta e giudica per dare la vita, lo sguardo dell’uomo scruta e giudica per portare la morte. Ed è paradossale che il giudizio sul peccatore venga dallo stesso uomo che fa il peccato ed approva quelli che lo compiono. Paolo vuol dimostrare che l’eccezione conferma la regola. Anche quando l’uomo sembra respingere il peccato, in realtà lo afferma. Lo giudica e lo rifiuta negli altri, in maniera sporadica ed occasionale, senza intelligenza alcuna,  lo approva in se stesso, come consuetudine e regola di vita; perché in realtà compie le medesimi azioni che  condanna nel prossimo. Nessun peccato è in attesa di giudizio se non il nostro. Diversamente siamo nell’inganno e nella falsità più grande. Come l’uomo non è in grado di giudicare il peccato altrui e neppure gli è richiesto, così non è in grado di giudicare se stesso, se non lasciandosi giudicare dalla Parola di Dio. Non c’è peccato, nostro o altrui, che non ci riporti alla radice di ogni peccato. E non comprende la radice del peccato chi ne porta i frutti, ma soltanto Colui che li raccoglie e li rigetta per innestare sull’albero cattivo un albero buono. Prima di conoscere la giustizia di Dio, bisogna conoscere e riconoscere l’ingiustizia dell’uomo. Non come ci è dato da uno sterile ed infruttuoso confronto di noi stessi con noi stessi, ma come ci è dato dal confronto con il nostro Creatore, nell’ascolto della Sua Parola che è obbedienza alla Sua volontà. Il Vangelo da un lato manifesta la giustizia di Dio per coloro che ascoltano, dall’altro  rende noto un giudizio secondo verità per coloro che sono sordi al buon annuncio. Per questo continua Paolo…

2 Sappiamo infatti che il giudizio di Dio è secondo verità su quelli che fanno tali cose.

Coloro che compiono azioni malvagie, ignorando Dio, non sono giudicati secondo  giustizia. E come possono essere giudicati da quella giustizia che non vogliono conoscere? Il giudizio su di loro è unicamente secondo verità, perché la verità che viene da Dio è palesemente nota a tutti, mentre la sua giustizia è nascosta ed attende di essere rivelata. L’ateismo esclude alla radice qualsiasi possibilità di intervento divino e giustifica agli occhi di tutti ( sappiamo infatti ) un giudizio di condanna eterna secondo verità. Ateo non è solo l’uomo che dice di non credere all’esistenza di Dio, ateo è ogni uomo che si sottrae al giudizio della Sua parola. Cosa ti giova essere convinto dell’esistenza di Dio, se non ti lasci da Lui guidare ed illuminare, nell’ascolto della Sua voce?

3 Pensi poi questo o uomo che giudichi quelli che fanno tali cose e che fai le stesse cose che tu sfuggirai al giudizio di Dio?

Il giudizio dell’uomo sull’uomo non può in alcun modo prevenire quello divino e neppure può essere una scappatoia per evitarlo su di sé. Perché è un dato di fatto che anche quando condanniamo il peccato negli altri, noi stessi lo facciamo. Invece di giudicare il prossimo meglio lasciarsi giudicare dal Signore e comprendere quale sia un giudizio che non vuole essere semplicemente secondo verità, ma ancor più ed ancor prima secondo giustizia.

La giustizia di Dio da un lato respinge il giudizio sul fratello, dall’altro chiede ed esige il giudizio su se stessi.

Se il giudizio divino fosse conforme a quello dell’uomo, nessuno si salverebbe. Perché chi condanna il male dell’altro lo commette lui pure. Nessuno può chiamarsi fuori da una condizione di peccato, se non per inganno del Satana. Nel momento stesso in cui giudichiamo gli altri, dimentichiamo che il loro peccato è il nostro peccato e che, in definitiva, noi non siamo migliori, perché facciamo le stesse azioni. In una maniera più blanda e velata agli occhi nostri, ma tale da meritare lo stesso giudizio da parte di Dio. Perché tutti siamo sotto il potere del Maligno e niente sfugge agli occhi del Signore. Chi giudica gli altri è vittima di un duplice inganno: da una parte presume di una giustizia che non gli appartiene, dall’altra pensa stoltamente di poter in qualche modo sfuggire al giudizio di Dio: quel giudizio che non si ferma alle apparenze esteriori, ma penetra le profondità del cuore, fino ad affermare che nessuno è giusto se non colui che è fatto tale dal Cristo. Il discorso di Paolo delinea sempre di più l’immagine di un uomo peccatore, fino alla dichiarazione chiara ed esplicita dell’universalità del peccato umano. Il peccato si manifesta in forma e in misura diversa, ma nessuno è esente da colpa e nessuno è degno della vita eterna, se non per grazia e dono del Signore. L’unico giudizio sul peccatore appartiene a colui che è senza peccato e nessuno è senza peccato se non il Cristo di Dio.  A noi è dato giudicare ciò che è male, ma non è concesso il giudizio su colui che fa il male, perché giudicando e condannando gli altri giudichiamo e condanniamo noi stessi. Questo in definitiva è l’inganno dell’uomo della Legge: credere in una diversità che gli appartiene in proprio, mentre è semplicemente fatta e donata da Dio.

Il giudizio di Dio non è  per i soli atei, entra anche nel cuore di coloro che credono di credere, per vagliare l’autenticità della loro fede. Perché se è vero che i peccati li facciamo tutti e secondo verità tutti meritiamo la condanna, è altrettanto vero che, per coloro che credono, vi è un giudizio secondo giustizia. Ma bisogna comprendere il senso della giustizia divina e di una salvezza data gratuitamente, senza fraintendere e senza banalizzare, come potrebbero fare alcuni.

4 O la ricchezza della sua benevolenza e della tolleranza e della pazienza disprezzi ignorando che la bontà di Dio ti guida a conversione? 5 Ma secondo la tua durezza e di un cuore non convertito metti in serbo per te stesso ira nel giorno dell’ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio 6 che contraccambierà a ciascuno secondo le sue opere. 7 A coloro che secondo perseveranza di opera buona cercano gloria e onore vita eterna, 8 ai disobbedienti alla verità per ambizione, obbedienti invece all’ingiustizia, ira e sdegno. 

“Quello che si deve dire degli uomini in generale, si deve dunque dire anche degli uomini di Dio. Essi non sono, come uomini, diversi dagli altri uomini. Non vi è una peculiare storia di Dio come particella, come quantità nella storia generale. Ogni storia della religione e della Chiesa, si svolge in tutto e per tutto nel mondo. La cosiddetta storia sacra è soltanto la crisi permanente di ogni storia, non una storia nella storia, o accanto alla storia. Non esistono santi mescolati a profani. Appunto in quanto essi vogliono esserlo, non lo sono. Appunto la loro critica, protesta, accusa, finchè la scagliano contro il mondo, invece di sottoporvisi anch’essi, li pone inevitabilmente in linea col mondo. Questa accusa rimane all’interno del mondo, viene dalla distretta, non dal soccorso, è una parola intorno alla vita, non la vita stessa, una luce artificiale nella notte, non il levare del sole né l’inizio del giorno… Trascinato o traente, tutto ciò che è umano nuota con la corrente, sulla quale sembra galleggiare o alla quale sembra addirittura resistere. Cristo non dimora in alcun senso tra i giusti. Dio solo deve aver ragione. La tragicità di tutti gli uomini di Dio sta in questo, che combattendo per il diritto di Dio, devono mettersi nel torto. Ma così deve essere, poiché gli uomini non devono occupare il posto che è di Dio”. ( Barth )

Sull’uomo pende il giudizio di Dio: non saremo solo giudicati, ma siamo già giudicati. Spetta a noi scegliere tra un giudizio che è semplicemente secondo verità ed un giudizio che già da ora vuol essere secondo giustizia.

Nessuna parola di condanna da parte di Dio che non sia prima parola di salvezza . Ma non dobbiamo disprezzare la ricchezza della sua benevolenza e della tolleranza e della pazienza. Bisogna saper cogliere nel profondo del nostro cuore la voce del Signore, così come parla a tutti e da sempre attraverso la coscienza ed ancor più come parla ai molti attraverso il Vangelo di Cristo. Per questo Paolo scrive che non si vergogna di annunciare il Vangelo: prova vergogna ed è titubante chi porta una brutta notizia; non arrossisce e non esita chi porta una buona notizia. Niente di nuovo in un giudizio di Dio secondo verità; tutto di nuovo in un giudizio secondo giustizia. Ma bisogna intendere il senso di questa novità. Il Vangelo di Cristo non crea una nuova giustizia di Dio, semplicemente manifesta ciò che è da sempre: proclama ai quattro venti ciò che finora è stato rivelato soltanto a coloro che hanno orecchi di ascolto. Novità non è la misericordia divina: essa è eterna; novità è l’annuncio della misericordia divina così come si è manifestata in Cristo. Non c’è uomo che non sia oggetto dell’amore di Dio, ma è un amore nascosto in Cristo.  Ciò che era nascosto si è ora chiaramente rivelato in Gesù, con la sua morte e resurrezione. La venuta del Salvatore non è la linea di demarcazione della storia tra un prima di dannazione ed un dopo di salvezza. Il sacrificio di Cristo è sempre attuale nella sua chiesa e per la sua chiesa, semplicemente si manifesta e si fa conoscere in tutta la sua pienezza di grazia  in un tempo e per un tempo. E’ questo il pensiero portante della lettera ai Romani, il resto è soltanto una sua ulteriore chiarificazione ed esplicazione. Possiamo dunque concludere che la misericordia divina è ora da tutti intesa semplicemente perché a tutti gridata e non semplicemente sussurrata? Niente affatto. Chi è sordo in qualsiasi caso non intende. Bisogna innanzitutto avere orecchi di ascolto. Ma per coloro che ascoltano ora tutto è sicuramente più chiaro e la via della salvezza appare più luminosa e più sicura. Se in Cristo la parola di Dio grida più forte, bisogna però che l’uomo si dia una bella lavata di orecchie. Un annuncio nuovo deve trovare una nuova volontà di ascolto. Non intende la voce di Dio colui che non intende dapprima la propria voce. Prima di confrontarsi con la parola del Signore l’uomo deve verificare la propria capacità di ascolto e scegliere il proprio punto di ascolto. E non può farlo indipendentemente da colui che parla, ma soltanto in sintonia con colui che parla, procedendo da ascolto in ascolto, lasciandosi ogni giorno rinnovare dal Signore per  contenerlo e portarlo sempre di più nel proprio cuore. La salvezza è in un cammino che procede da fede a fede, ma  bisogna essere pronti e preparati e prendere la strada giusta per non affannarsi invano ed essere portati fuori e lontano. Chi ascolta una parola deve cominciare con la parola, senza nulla tralasciare e nulla anticipare. “Pentitevi e credete al buon annuncio”: così esordisce la parola di Cristo. Il Vangelo di Paolo non è qualcosa d’altro, è sulla stessa lunghezza d’onda. L’Apostolo non fa semplicemente parlare Cristo, ma spiega e ci illumina riguardo alla parola di Cristo. Se Gesù ci chiama innanzitutto al pentimento, prima di comprendere il come bisogna comprendere il perché. Non confessa il proprio peccato colui che prima non è convinto di peccato. Non si trova la radice della propria salvezza, se prima non si trova e non si comprende la radice della propria perdizione. Altrimenti la confessione di peccato è parola vuota, priva di grazia santificante. Una confessione finta, trova una grazia finta.

Bisogna trovare la strada giusta, in una giusta consapevolezza di peccato. Il discorso di Paolo non è da poco e non va preso alla leggera: non c’è vera salvezza se non in una vera e sincera consapevolezza di peccato. Non ci stupisca e non ci meravigli la complicante insistenza di Paolo riguardo al nostro peccato. Se Paolo complica “troppo” è soltanto perché l’uomo semplifica “troppo”; e con ciò vanifica la grazia di Dio. Non a caso si danno interpretazioni diverse e contrastanti: non è semplicemente una questione filosofica o teologica è ancor prima una questione di salvezza. Non ogni coscienza di peccato è vera coscienza di peccato, ma solo quella che nasce dall’ascolto della parola di Dio. Non basta essere convinti che nel mondo è il peccato. E’ vera coscienza di peccato quella che confessa il proprio peccato, è falsa coscienza di peccato quella che confessa il peccato degli altri.  L’una si umilia e si lascia giudicare, l’altra si esalta e si fa giudice.

Il giudizio di condanna da parte dell’uomo per coloro che operano il male è ingiustificato, dal momento che tutti compiamo le medesime azioni, in maniera e in misura diversa, ma qualitativamente omogenea rispetto al nostro essere da Adamo ed in Adamo. Non è semplicemente un modo sbagliato di vedere noi stessi in confronto agli altri, ma innanzitutto un modo sbagliato di vedere Dio nei confronti dell’uomo. Perché se è un dato di fatto il nostro peccato ,  ancor più è un dato di fatto l’amore del Signore verso ognuno di noi. Disprezzo dell’uomo dunque, ma ancor di più disprezzo e rifiuto della bontà, della tolleranza e della pazienza di Dio Salvatore. Non si può considerare il peccato senza al contempo considerare la misericordia divina.  Non si nega dunque e neppure si ignora il peccato, semplicemente si afferma l’amore di Dio e con ciò  la necessità di un ravvedimento riguardo alla nostra vita: non semplicemente riguardo a questa o quell’azione, ma riguardo alla totalità e alla fondamentale unità del nostro rapporto con Dio. Perché ogni peccato piccolo o grande che sia, in qualsiasi luogo o momento venga commesso, attesta la nostra malvagità e la nostra estraneità rispetto all’amore divino. Che cosa dunque ci unisce universalmente gli uni agli altri in confronto a Dio e non semplicemente in negativo così come appare con evidenza, ma ancor più in positivo, così come dovremmo mettere in evidenza ? Una consapevolezza di peccato che ci spinge al pentimento e ad una volontaria umiliazione dell’uno verso l’altro e di tutti verso Dio. Così il giudizio di condanna nei riguardi del fratello cede il posto alla confessione del proprio peccato e il disprezzo dell’amore divino alla gioia, che viene dalla consapevolezza del perdono. Non continuare a misurare i tuoi e gli altrui peccati: non farai molta strada verso la via della salvezza. Chiedi perdono al Signore per te e per tutti gli uomini ed entra nella novità di vita che è data  da Gesù Salvatore. C’è un disprezzo ed un rifiuto dell’amore divino, ma nel contempo vi è anche una “fede” nell’amore di Dio che è falsa e sbagliata, perché prende in considerazione chi è Lui senza al contempo considerare chi siamo noi, non porta al pentimento e neppure alla liberazione dal peccato, ma sancisce definitivamente il nostro perdurare nel peccato e con ciò ci rende degni di riprovazione eterna. Accettazione dunque dell’amore divino e confessione del proprio peccato, ma per entrare in una vita nuova. Guai a coloro che parlano della misericordia divina per giustificare le proprie colpe e per rimanere nell’ombra della morte. Beati coloro che esaltano l’amore di Dio nella confessione del proprio peccato e vengano liberati dalla potenza del Maligno.

“Dove Dio parla ed è conosciuto, non si può parlare di un essere e avere e godere dell’uomo. Chi è eletto da Dio non dirà mai che egli ha eletto Dio. Il fatto che il timore e la pietà davanti a Dio trovino posto in un uomo, la possibilità della fede si può intendere soltanto come una impossibilità, come l’inspiegabile “ricchezza della sua bontà” ( Come ho io meritato questo che sono cieco eppure vedo? ), come inspiegabile “pazienza” della sua ira ( Come accade proprio a me, di fare eccezione tra mille? ), come inspiegabile “longanimità” di Dio verso di me ( Che cosa dunque può Dio aspettare da me, per avere data proprio a me questa inaudita possibilità? ) Nulla, proprio nulla si può addurre come fondamento e spiegazione di questo “io” e “me”; è del tutto campato in aria, è il puro, assoluto, verticale miracolo… “La bontà di Dio vuol condurti a penitenza”. Quello che diviene vero nell’uomo dal punto di vista di Dio e di lui solo, non può diventare altro che nuova invocazione a Dio, nuova esigenza di conversione, di timore e umiltà, nuovo invito a far getto di ogni sicurezza, ad abbandonare ogni vanto, a dare nuovamente la gloria a Dio, al Dio sconosciuto, come se non fosse ancora mai avvenuto nulla. Ogni pretesa, ogni diritto di proprietà che ne sia dedotto è fraintendimento della elezione, fraintendimento della vocazione ricevuta, fraintendimento di Dio. Ogni affermazione positiva di una situazione di eccezione rende colui che ha intravisto qualcosa di Dio uguale a colui, che non ha ancora osservato nulla. “Non osservi tu che la bontà di Dio vuol trarti a ravvedimento?” Non sai tu che questa è l’unica possibile e reale osservazione? ( Barth)

Ma secondo la tua durezza  e di un cuore non convertito metti in serbo per te stesso ira nel giorno dell’ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio che contraccambierà a ciascuno secondo le sue opere:

Duro è il cuore dell’uomo che non sente e non vuole sentire i richiami del Signore, né si lascia istruire ed illuminare dalla sua parola, ma si chiude in una presunzione di giustizia che non conosce ravvedimento né possibilità alcuna di cambiamento, neppure per grazia di Dio. Il cuore non convertito accumula su di sé  l’ira di Dio, fino a rendere vana la Sua infinita pazienza e a giustificare un giudizio di definitiva condanna. L’infinita pazienza divina trova il suo limite di fronte ad una pervicace ostinazione nel peccato e nel rifiuto della salvezza: indurimento del cuore che si manifesta nel tempo e per un tempo, ma che agli occhi di Dio appare altrettanto infinito cioè senza fine, al pari della sua misericordia. Ed è proprio questa infinita durezza del cuore che è degna di dannazione eterna. Infinita perché non conosce limite e misura nel suo essere contro Dio, infinita perché non ha fine nel tempo ovvero in quell’eternità che solo Dio comprende e conosce. Si può ragionevolmente pensare che il giorno del giudizio cada per ogni uomo quando la sua scelta per o contro Dio assume agli occhi del Signore un significato ed un valore eterni, al punto da rendere ingiustificata ogni ulteriore attesa. Si muore presto perché già degni di dannazione o di vita eterna. E’ plausibile la diffusa convinzione che i buoni muoiano prima dei malvagi, perché il Signore li vuole presto con sé, per risparmiare loro il travaglio della vita, ma ci sembra altrettanto plausibile la morte precoce del malvagio, quando Dio non vede possibilità alcuna di ravvedimento. Perché il senso della vita non è dato dalla sua durata e da tutto ciò che l’accompagna ma da un sì e da un no che appaiono irrevocabili agli occhi del Signore.

Quanto detto può sembrare in contrasto con l’affermazione di Paolo per cui Cristo “renderà a ciascuno secondo le sue opere”, quasi a sottolineare una priorità del fare la volontà di Dio rispetto all’essere trovato conforme alla volontà di Dio. L’operare dell’uomo non deve essere valutato dal punto di vista quantitativo nell’ottica della Legge, ma qualitativo nell’ottica della fede, e non bisogna confondere i frutti della fede con la sua purezza. C’è una fede che si esprime e si manifesta nel tempo e per un tempo  e c’è una fede che si iscrive nell’eternità di Dio, in un tempo che Lui solo conosce. Cosa possiamo dire delle morti premature e precoci? Nulla; ma ci conforta la consapevolezza che Dio vede nei cuori degli uomini prima ancora che essi possano operare. La salvezza viene dunque dalla fede e non dalle opere. Ma è pur vero che se c’è una fede manifesta solo a Dio, indipendentemente dalle opere, c’è anche una fede che si rende manifesta all’uomo nel suo essere conforme al precetto di Dio. C’è una fede senza opere,  salda ed incrollabile che non conosce il tempo dell’operare, perché non le è dato, e c’è  una fede non persistente che ha il suo tempo e con ciò anche le sue opere e la necessità di essere provata e confermata.  Altro è camminare nella fede, altro è dimorare nella fede.

Nella mentalità e nella cultura cattolica è convinzione diffusa, e non da ieri, ma fin dai primordi del cristianesimo, che la morte prematura dell’uomo sia giustificata dalla prescienza divina, la quale vede le nostre azioni  prima ancora che le compiamo. In questo modo anche chi muore prima ancora di poter operare è giudicato dalle sue opere, non da quelle che ha fatto, ma da quelle che avrebbe fatto, qualora ne avesse avuto il tempo. Si tratta di un’ipotesi assai fantasiosa e deviata rispetto al senso della fede, in quanto ignora e non comprende la gratuità della salvezza che non è acquisita in virtù dei nostri meriti ma unicamente per grazia divina. Non siamo accetti a Dio per le nostre opere buone, ma semplicemente perché vogliamo in noi il Suo essere al posto del nostro essere, traviato e fuorviato dal peccato. Certo l’albero si riconosce dai frutti e non è buono se non l’albero che produce frutti buoni. Ma vi è anche l’albero che, pur essendo buono, non fa in tempo a produrre frutti. Ed è l’albero buono che è gradito a Dio, il suo essere fondato ed innestato nell’albero della vita. L’uomo può giudicare  soltanto per le opere, ma Dio ha altri occhi e ben altra conoscenza: vede la bontà dell’albero fin dall’origine. Con ciò non si vuole affermare che esistano uomini naturalmente buoni, ma semplicemente che esistono uomini che dicono il loro sì a Dio molto presto, quando la vita ha una forma molto semplice, e non c’è bisogno che entrino in un’esistenza complessa. Certo noi amiamo e privilegiamo un’esistenza che si manifesta in forme ricche e cresciute, ma soltanto perché complesso e complicato è il nostro cuore. Non arriviamo a maturità se non percorrendo la strada inversa che è quella di un’umiliazione e di una semplificazione del nostro io.

 “Ed ora può accadere il miracolo, che Egli ricompensa “coloro che cercano la sua gloria, onore ed incorruttibilità, con vita eterna”, che dunque a quello che nella limitatezza umana si attua storicamente e psicologicamente come timore ed umiltà davanti a Dio, come ricerca di Dio stesso e di Dio solo, corrisponda un’effettiva scoperta di Dio. Può accadere che il vaso della fede, con tutta la sua patente insignificanza, abbia il contenuto della vita eterna. Può accadere che la “perseveranza” dell’attendere e del tendere umano sia il contrassegno dell’ “opera buona” che si compie in un uomo e per mezzo di esso. Può accadere che quello che uno fa in questo mondo in tutta la debolezza della “carne”, sotto tutti i sintomi della più alta problematicità, sia il bene, e porti già in sé la gloria, l’onore e la pace del mondo veniente. Ma questa possibilità non si può umanamente né realizzare né anche solo rappresentare come reale. Essa esiste, quando esiste, in tutto e per tutto soltanto come possibilità procedente da Dio. Di fronte ad essa il Giudeo ed il Greco, l’uomo di Dio e l’uomo del mondo si ricollocano sopra una stessa linea: entrambi sono partecipi della promessa, e soltanto della promessa. La realizzazione di tale possibilità non sarà mai, in nessuna forma, in grado di distinguersi vantaggiosamente come giustizia umana da altre giustizie o ingiustizie umane. Il credente, l’esecutore dell’opera buona non farà mai valere questa sua opera come un suo possesso contro il non-possesso di altri. Egli non dirà mai: io faccio!, ma sempre: Dio fa! Non dirà mai: Dio ha ricompensato!, ma sempre: Dio ricompenserà! Il timore e l’umiltà davanti a Dio non vorranno mai essere altro che spazio vuoto, indigenza e speranza. Poiché a Dio appartiene e rimane la gloria, che l’uomo venera e ricerca in questo mondo. Ma può anche accadere l’altro, l’orribile miracolo: che”a coloro che seguono l’insubordinazione, siano riservate ira ed indignazione”; che ad un timore, a una umiltà a vista umana indiscutibile, non corrisponda la scoperta del vero Dio, ma una scoperta del non-Dio; l’attesa dello svelarsi dello sdegno divino. Può accadere che Dio “paghi” con ira e indignazione l’opera dell’uomo, che ciò che si presenta notoriamente come esaltazione profetica sia nel suo cospetto “animo servile”: ” il modo di pensare e la concezione della vita del salariato, che suole fare il suo lavoro soltanto per amore del guadagno, senza l’abnegazione del proprietario” ( Zahn ). Una ubbidienza molto brillante alla verità può essere suprema disubbidienza, una tangibile umiltà niente altro che insubordinazione. Ciò che l’uomo fa con “buona intenzione”, può essere un’opera di malvagità e essere profondamente immerso nell’ombra del giudizio. La giustizia umana, in qualsiasi forma, non è mai al sicuro contro la possibilità di essere senza valore agli occhi del compratore divino, e di non essere acquistata… Il giudice non si lascerà mai togliere il diritto di giudicare anche i giusti. Egli giudica, egli stesso, egli solo. ( Barth )

9 Tribolazione e angustia su ogni anima di uomo operante il male, Giudeo sia prima che Greco: 10 gloria invece e onore e pace a ognuno operante il bene, Giudeo sia prima che Greco: 11 infatti non c’è preferenza di persone presso Dio. 12 Quanti infatti senza legge peccarono, senza legge anche periranno e quanti nella legge peccarono, per mezzo della legge saranno giudicati. 13 Non sono infatti gli uditori della legge giusti presso Dio, ma i facitori della legge saranno giustificati.

Nessuno è dimenticato da Dio. Il Signore visita ogni uomo, nel tempo della grazia, ma anche nel tempo del giudizio. Ognuno in definitiva avrà da Dio quello che ha voluto avere. Gloria, onore, pace e vita eterna per coloro che perseverano nelle opere buone. Intendi rettamente: opere buone sono soltanto quelle fatte in Cristo e per Cristo. E non può essere altrimenti perché nessuna perseveranza sarà trovata nell’uomo se non quella donata e creata da Gesù. Ira, sdegno, tribolazione ed angoscia sono riservati a coloro che non credono nel Salvatore. Nessuno è condannato semplicemente perché fa dei peccati; per questi c’è la misericordia divina. Paolo sta parlando degli uomini che,  ribelli a Dio, non si lasciano da Lui correggere e sono diffidenti nei confronti del suo Cristo. Non ogni opera buona è meritevole di vita eterna, ma solo quella che dà prova di essere perseverante; e non è perseverante se non ciò che ha trovato il suo  fondamento. Non ogni opera malvagia è degna di dannazione, ma solo quella che si annida in un cuore ribelle e disobbediente al Padre, sordo ai suoi richiami e diffidente verso ogni offerta di pace e di riconciliazione, anche quando è fatta dal Figlio.

Nessun uomo può sottrarsi al confronto con la legge: vuoi la legge naturale, vuoi la Legge  mosaica o quella di Cristo. Vero è che ci sono uomini che si mettono al di sopra di qualsiasi legge e nulla considerano se non il proprio interesse e tornaconto e nient’altro scopo perseguono nella vita se non il soddisfacimento delle passioni della carne. Peccano senza riconoscere il giudizio che viene dalla trasgressione della legge e proprio per questo non ci sarà per loro alcun tribunale divino: nessuno li accuserà davanti a Dio, ma nello stesso tempo niente e nessuno potrà difenderli. Passeranno immediatamente nella dannazione eterna. Periranno di propria mano e per propria scelta. Non c’è uomo più tristo ed infelice di colui che non vedrà il volto del Padre neppure nel giorno del giudizio: alla sua morte sarà subito inghiottito dall’abisso.

Miglior sorte tocca a coloro che hanno accettato nella loro vita il giudizio che viene dalla legge. Certo, non basta riconoscere la legge, bisogna anche osservarla. Ciascuno sarà giudicato secondo la legge che ha avuto da Dio. Il giudizio sarà più severo per coloro che hanno conosciuto la Legge di Mosè e ancor di più la Legge che è in Cristo. Il giudizio sarà conforme alla misura del dono di Dio, così come è detto: “molto sarà richiesto a colui che molto ha ricevuto…”.

“Infatti davanti a Dio non sono giusti quanti ascoltano la legge; ma saranno giustificati gli operatori della Legge”.

C’è l’uomo che non ascolta la legge e vive come se non ci fosse, e c’è l’uomo che ascolta in un modo sbagliato. Molti si illudono di una propria giustizia, e di una propria fedeltà,  che non è gradita a Dio. La legge va accettata così com’è, nella sua integrità e purezza, come viene dal Signore, senza ripensamenti o adattamenti. C’è un rapporto con la legge che non mira all’obbedienza, ma semplicemente vuol creare una coscienza di giustizia, mediante un autoesame ed un’autocritica che evita e sfugge il confronto con Dio. Tale ascolto non mira a soddisfare il Signore, ma a soddisfare se se stessi, e crea nei cuori una presunzione di giustizia falsa ed ingannevole. L’uomo non ripudia la legge, ma la adatta alle proprie capacità e necessità, escludendo qualsiasi intervento divino e il travaglio che la fede porta con sé. Operatori della legge sono dunque coloro che ascoltano la voce di Dio, con cuore puro e sincero e proprio per questo vengono “giustificati” cioè riconosciuti giusti dal Cristo perché da Lui fatti tali. Ci sembra che in questo passo sia adombrato un mistero molto grande: l’universale chiamata alla santità che viene da Cristo e che è solo in Cristo. Perché qualsiasi uomo che si rapporti alla legge in modo retto, conoscerà la potenza di risurrezione che è in Gesù . Non sarà semplicemente riconosciuto giusto, ma prima ancora sarà fatto da Lui  giusto.

14 Quando infatti i gentili non aventi la legge, per natura fanno le opere della legge,  questi legge non aventi a se stessi sono legge. 15 Costoro dimostrano l’opera della legge scritta nei loro cuori, rendendo testimonianza di loro la coscienza e  i pensieri accusanti o anche scusanti gli uni gli altri, 16 nel giorno in cui Dio giudica le cose nascoste degli uomini secondo il mio vangelo per mezzo di Cristo Gesù.

E’ fuori discussione che il giudizio sarà fatto secondo il Vangelo e ad opera di Gesù. Ma allora cosa dire di coloro che non hanno conosciuto il Vangelo? Non c’è per loro salvezza? La risposta di Paolo è altrettanto chiara e precisa. Quando i gentili, ovvero coloro che non sono Israele, fanno per natura quello che prescrive la legge, dimostrano con ciò che la legge di Dio è stata incisa non semplicemente su tavole di pietra, ma prima ancora nei cuori degli uomini. Ma a questo punto dobbiamo chiederci che senso abbia la Legge mosaica e lo stesso annuncio del Vangelo, se è possibile un giudizio per la vita eterna, indipendentemente dalla rivelazione. Nella rivelazione noi dobbiamo distinguere ciò che è fatto da ciò che è detto. Dal punto di vista dell’agire la rivelazione appare indiscutibilmente necessaria, in quanto porta al sacrificio di Cristo, come condizione sine qua non per la nostra salvezza. Dal punto di vista del dire e del far conoscere, la Parola rivelata porta luce e maggior consapevolezza di verità nelle nostre tenebre. E’ una grazia molto grande che indica la via maestra e spiana un cammino sicuro per tutti coloro che cercano Dio. Certo non è l’unica via, ma è l’unica sicuramente vera. Per gli uomini che si sono messi in cammino per ritornare al loro Signore non è indifferente sapere dove andare e come andare. C’è già una strada? Chi l’ha tracciata? E’ meglio andare da soli o insieme con altri? E ancora: è possibile imboccare una strada sbagliata? Quali sono le insidie del Maligno? Nessuna risposta certa è data all’uomo, se non nella Bibbia ed attraverso la Bibbia. In Essa e soltanto in essa è la storia della salvezza, scritta non da mano di uomo , ma dalla stessa mano di Dio. Non è indifferente, anzi è assolutamente determinante il modo in cui l’uomo si rapporta al discorso della rivelazione. Ma non bisogna ignorare il punto di vista né quello di ascolto, che cosa l’uomo può vedere ed intendere. Perché la vita di ogni uomo cade in tempi diversi rispetto alla piena manifestazione del Figlio.  Il giudizio non può essere se non a livello individuale, secondo una logica ed un criterio, che Dio solo conosce, in quanto autore di ogni vita. A nulla ci giova mettere a confronto uomini e situazioni diverse: ognuno deve innanzitutto confrontarsi con il Signore e con ciò che di Dio gli è noto ed è stato reso noto. Quello che innanzitutto va detto a nostra consolazione è che la salvezza di Cristo è data a  gli uomini di ogni tempo e cultura. Il modo è scritto negli arcani segreti del Padre: a noi basti la certezza dell’amore divino e la garanzia di un giudizio che è secondo verità e giustizia. Non c’è ansia e non c’è angoscia in rapporto a Dio, se non per l’uomo che non fa la Sua volontà, nell’ascolto della Sua voce. E’ la coscienza stessa che accusa o difende: non la coscienza chiusa in se stessa ma quella che guarda a Dio ed accoglie il suo rimprovero e gode della sua approvazione, nell’obbedienza alla sua volontà: alla luce del giorno in cui Dio giudica le cose nascoste degli uomini secondo il mio vangelo per mezzo di  Cristo Gesù.

Il giudizio di Dio ha un significato storico, ma anche metastorico. È storico perché cade in tempi diversi per ognuno di noi, è metastorico in quanto è illuminato da una luce eterna: quella del Vangelo di Cristo Gesù ( alla luce del giorno ). E’ in virtù di questa luce che nella coscienza dell’uomo i ragionamenti si accusano o anche si difendono reciprocamente tra loro, in ogni tempo ed in ogni momento. Il Signore ci liberi da discussioni inutili. Non ha senso confrontare il Vangelo di Cristo con altri Vangeli. E neppure troppo dobbiamo disquisire sui tempi e i modi della salvezza. Non ce ne viene alcun bene. Ognuno confronti se stesso con la voce dell’unico Dio, e si lasci guidare ed illuminare dall’unica luce. Per chi si riconosce ormai perduto è molto più importante afferrare la salvezza così come gli viene offerta, che porre domande e fare discussioni con chi vuole salvarlo. Colui che è Salvatore si trova in una posizione ed in un’ottica diversa rispetto a colui che deve essere salvato. Vede meglio la situazione e le situazioni, spetta a Lui predisporre le modalità e i tempi di intervento, e non si vede perché debba operare per tutti nello stesso modo e nello stesso tempo. L’eternità di Dio deve pur confrontarsi con il tempo dell’uomo e fare proprie categorie che di per sé sono estranee alla divinità. Ci basti la certezza dell’intervento divino nella nostra vita e la consapevolezza che nessun uomo è mai abbandonato a se stesso dal Signore. Ma allora qual è il giusto comportamento del cristiano di fronte agli uomini che professano altre fedi ed altre religioni? Non quello dell’intolleranza e del giudizio frettoloso, ma quello della paziente misericordia di Dio, il quale vuole che tutti gli uomini giungano alla salvezza in Cristo Gesù. Ciò non significa tutto accettare e tutti giustificare.  E’ inganno diabolico cadere in un qualunquismo religioso in cui tutte le religioni sono messe sullo stesso piano. La salvezza viene da Israele e non da altrove: e questo per bocca dell’eterna Parola. Se è vero che “chi non è con voi è contro di voi, è altrettanto vero che “chi non è contro di voi è per voi”. Sono schiavi del Satana gli uomini che fan guerra a Cristo e alla Sua Parola, e bisogna ben dirlo e non aver dubbi al riguardo. Ma c’è anche il silenzio di chi non giudica ed accetta il confronto con il cristiano, pur professando altra fede. E’ soltanto questa possibilità di confronto che lascia aperto il dialogo e ci proibisce atteggiamenti radicali e stroncanti. La guerra aperta al Vangelo e a Cristo non è certo oggetto di benedizione divina: viene dal Diavolo e non va giustificata in alcun modo. Questo va detto oggi innanzitutto dell’Islam: noi non giudichiamo la fede nel Corano, ma giudichiamo il rifiuto di Cristo e della Sua Parola.

Prima di continuare dobbiamo fare alcune considerazioni.

Ci sembra del tutto fuori discussione che l’uomo sia formato da spirito, anima, carne. E’ quanto leggiamo nella Parola di Dio: non è frutto di elucubrazione umana o opinione personale di Origene ed altri. Fin qui penso che tutti possiamo e dobbiamo essere d’accordo, nonostante la persistenza nella chiesa di una mentalità mutuata dal paganesimo, che, seguendo la filosofia greca, riconosce nell’uomo soltanto due dimensioni: l’anima e la carne. La difficoltà comincia quando cerchiamo di chiarire che cosa si intenda per spirito e che cosa per anima. Ne abbiamo già parlato ampiamente altrove, concludendo che lo spirito altro non è che l’io originario o semplice coscienza di sé, creato dal soffio dello spirito divino. In quanto non semplicemente creato dal nulla ma alitato nell’uomo da Dio, porta in sé l’impronta dello Spirito Santo, e non è soggetto a morte e a cambiamento, ma permane identico a se stesso per tutta l’eternità, come semplice coscienza di un io fondato e relazionato ad un Tu. Questo io creato per la vita eterna, immutabile nel suo essere fondato in Dio viene associato ad un’anima, che non solo è diversa nei suoi attributi da uomo a uomo, ma è anche soggetta a mutamento e destinata alla morte.  Nel caso degli eletti sarà pienamente assorbita nella Vita dallo Spirito stesso di Dio, così da perdere, per volontà propria, ogni libertà di scelta che sia altro dal perenne desiderio del proprio Creatore. In questo modo si avvera quel che è scritto: “sarete tutti dei e figli dell’Altissimo”. Mediante un processo di autoidentificazione per cui lo spirito dell’uomo si specchia e si riconosce pienamente nella sua Sorgente e nel suo Creatore. Questa priorità dello spirito rispetto all’anima è ben sottolineata dalle parole di Origene. Per non cadere in equivoci meglio sarebbe dire che l’anima è associata allo spirito e non viceversa. Ed è in rapporto allo Spirito e in virtù del nostro spirito che ci giochiamo il senso della vita. L’anima rappresenta un dono in più che dovrebbe aiutarci nella sua complessità e nella sua ricchezza a meglio comprendere l’Amore di Dio. Lo stesso dicasi del corpo materiale e di tutto il creato che di per sé non sono assolutamente necessari per la vita eterna, se non per il fatto che ci rendono più consapevoli di essere oggetto di dono. “Ha dato doni agli uomini”: di ogni tipo.  Ma cerchiamo meglio di capire che cosa sia lo spirito. Non un semplice attributo ma la sostanza stessa dell’uomo, ovvero ciò che sta sotto e viene prima di tutto il resto. Non una sostanza complessa, ma una sostanza semplice dell’assoluta semplicità della sostanza divina. Il suo unico attributo è la consapevolezza del proprio fondamento e del proprio fine: ovvero del suo essere io in quanto fondato e relazionato ad un Tu. Vi è dunque un primo livello della coscienza per cui la creatura si sente rapportata al Suo Creatore in modo immediato, sentendo la Sua voce e a Lui rispondendo con la propria volontà. Non a caso si dice voce della coscienza e non parola della coscienza. Il possesso della parola fa già pensare a una creatura evoluta e cresciuta, arricchita di altri doni. Il rapporto interpersonale è dato ed è caratterizzato innanzitutto dalla voce. Perché è dalla voce che una persona si distingue da un’altra e non dalla parola. Per questo Gesù dice: Le mie pecore ascoltano la mia voce” E  la Sua voce non si esprime soltanto nella parola del Vangelo, ma è data a tutti gli uomini di qualsiasi tempo, età, cultura. Si fa sentire al neonato,  al selvaggio, al sordo, allo psicotico. Cambia la sua forma, non la sua sostanza. Nell’esistenza dell’uomo non c’è spirito  che non sia associato ad un’anima e ad un corpo. Ed è  l’anima che rappresenta nell’uomo la complessità del suo essere, come lo spirito ne rappresenta la semplicità. Se lo spirito ha come unico attributo la consapevolezza del proprioo essere in Dio e per Dio, l’anima è formata da una molteplicità di attributi ed è relazionata sia allo spirito sia al corpo materiale in modo complesso. E’ associata allo spirito: in quanto tale è sostanza spirituale. E’ associata ad un corpo:  in quanto tale è  sostanza materiale. Prima del peccato d’origine l’uomo sperimenta una perfetta armonia delle sue dimensioni. Lo spirito informa di sé la vita dell’anima, l’anima informa di sé la vita del corpo. Nell’esistenza, dopo la caduta, tutto si complica. Lo spirito perde o meglio abdica alla sua funzione di guida, l’anima si dissocia dal suo spirito e nello stesso tempo il corpo si dissocia dalla sua anima. La malattia come conseguenza del peccato dello spirito, si manifesta agli occhi dell’uomo, innanzitutto nell’anima e nel corpo. Il peccato dello spirito di per sé non è visibile agli occhi della carne, ma si rende visibile nei moti dell’anima e nelle azioni che da lei procedono. In quanto al giudizio ultimo sull’uomo esso è fatto sul suo spirito, e può essere pronunciato soltanto da Colui che ha gli occhi dello Spirito. Gli occhi della carne vedono ciò che è direttamente associato alla carne ovvero la bontà o malvagità dell’anima, ma non possono vedere il peccato dello spirito. Dal momento che lo spirito altro non è che semplice coscienza di un io creato rapportato ad un Tu Creatore tramite la voce della sua coscienza, lo si può solo definire, non giudicare, in virtù della sua capacità o meno di ascolto. Per questo è scritto. “Oggi se ascolterete la sua voce non indurite il vostro cuore”. Il cuore in quanto rappresenta la dimensione più profonda dell’uomo è figura del suo spirito. Di un cuore nascosto e non visibile si può solo dire che è indurito, allorché non ascolta la voce del Signore, o che è grasso e immondo ovvero appesantito ed intorbidato da un ascolto diverso. Quanto detto certamente mette in evidenza una priorità dello spirito rispetto all’anima ed al corpo. Solo lo spirito dipende direttamente ed esclusivamente da Dio, in quanto all’anima essa  dipende innanzitutto dal suo spirito, e in quanto al corpo innanzitutto dalla sua anima. Lo spirito riceve la vita dallo Spirito Santo, l’anima dallo spirito, il corpo dall’anima. Tutto questo però è solo nella dimensione essenziale, cioè in Eden… in una mirabile armonia e sincronia che manifesta l’obbedienza dell’uomo a Dio. L’anima dà man forte allo spirito, per una maggiore conoscenza, il corpo dà man forte all’anima e la rende sempre più efficiente e cresciuta. Passando dalla dimensione spirituale a quella psichica, da quella psichica a quella materiale e viceversa procedendo a ritroso, l’uomo diventa sempre più ricco e consapevole del dono divino e dell’Amore che lo ha creato. Quanto detto ci aiuta a comprendere il concetto di libertà creata. La libertà dell’uomo va intesa dal punto di vista essenziale come ciò che accompagna le tre “sostanze” o dimensioni, che formano l’uomo. Possiamo parlare di libertà del corpo, di libertà dell’anima, di  libertà dello spirito?  La libertà del corpo nel suo accrescimento e movimento è del tutto illusoria. In realtà il corpo è soggetto alla volontà di Dio. Nella dimensione esistenziale è parzialmente soggetto alla libertà dell’anima e dello spirito. Il corpo si muove secondo la volontà dell’anima e dello spirito. Ma è anche vero il contrario cioè che per certi aspetti l’anima e lo spirito dipendono e sono condizionati dal  corpo. Non c’è regola alcuna né certezza al riguardo. Per quel che riguarda la libertà dell’anima il discorso è ancor più complesso, perché l’anima da un lato è legata allo spirito, dall’altra ad un corpo. Se è illusoria la sua libertà rispetto al corpo lo è ancor di più quella rispetto allo spirito. La libertà in quanto creata ha carattere discensivo: dallo spirito di Dio passa a quello dell’uomo, e nell’uomo si ramifica in forme e significati diversi in molteplici dimensioni rispetto a ciò che è creato. Rispetto al Creatore non c’è altra libertà se non quella che passa per le vie dello spirito. Perché l’anima è fatta per obbedire allo spirito fino ad identificarsi con esso. Qualche pensatore cristiano è stato preso dalla suggestione del pensiero platonico e l’ ha interpretato in veste cristiana. Al centro dell’uomo sta l’anima, che è libera di seguire gli impulsi dello spirito o quelli del corpo, di scegliere tra il bene ed il male. Ma le cose non stanno così. Il corpo di per sé non rappresenta il male se non in quanto subisce e porta le conseguenze dei mali dell’anima e dello spirito Lo spirito d’altra parte non si identifica sic et simpliciter con lo Spirito di Dio, ma è da Lui generato , in noi immesso tramite un soffio che è discensivo nel senso dell’alitare la sua voce ed è ascensivo nel senso dell’ascoltare la medesima voce. È lo spirito dell’uomo che innanzitutto sceglie  in rapporto a Dio.   Mai da solo, ma sempre associato ad un’anima più o meno semplice. Ed è l’anima che segue il destino segnato dallo spirito non viceversa. L’anima non rappresenta la centralità dell’essere umano , non è di per sé buona o malvagia in conseguenza della propria libertà, ma è buona se resa tale da uno spirito buono, malvagia se resa tale da uno spirito fattosi malvagio. Perché mai allora al senso comune appare preminente la funzione ed il ruolo dell’anima? Ciò è soltanto in conseguenza del peccato d’origine, che ha creato non solo uno spirito dissociato dallo Spirito, ma anche uno spirito dissociato dalla propria anima. E’ proprio l’anima in quanto dotata di razionalità e di una parola che in apparenza va oltre la voce dello spirito il punto debole dell’uomo, il più vulnerabile.   E’ un aiuto e un fattore di crescita allorché l’uomo ascolta la voce di Dio,  è  un grosso impedimento ed un ostacolo da rimuovere allorché lo spirito dell’uomo si distoglie da quello di Dio… La colpa di Adamo si ripete ogni giorno non solo come conseguenza del primo peccato, ma come reiterazione del primo peccato. Allorché l’anima pretende una sua superiorità rispetto allo spirito dimostra tutta la sua debolezza e fragilità. Buona è l’anima che si lascia guidare e giudicare dallo spirito aperto al soffio dello Spirito Santo, malvagia è l’anima che si ripiega su se stessa, non avvertendo ed ignorando la voce della coscienza. Ma giunti a questo punto, lo ripetiamo, l’anima si allontana dallo spirito solo perché lo spirito si è già allontanato da Dio e non è più in grado di farsi luce e guida dell’uomo. Abbandonata a se stessa quale luce rimane all’anima se non quella della propria ragione? Non vi è dunque libertà dell’anima rispetto allo spirito cui è associata, se non in un modo del tutto fallace ed illusorio, frutto del peccato d’origine. Non è questa la libertà originale dell’anima, ma un’altra, rivolta più propriamente non al Creatore ma alla creazione ed al proprio essere creato. Se l’anima non ha libertà di movimento verso Dio se non nello spirito e per lo spirito, le è stata donata da Dio una libertà di movimento e di operazione verso il creato. È proprio grazie ad un’anima razionale che l’uomo può dominare su tutte le creature terrestri, esplorare, conoscere l’universo, operare in esso, creando una realtà sempre nuova. Libertà illimitata dunque verso il creato, ma non verso il Creatore.  “Tu puoi mangiare liberamente di ogni albero del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male, non devi mangiare, perché qualora tu ne mangerai, morrai.” Tutto è consentito dunque ad Adamo all’infuori di una conoscenza in proprio e impropria di ciò che appartiene esclusivamente a Dio. Solo Dio conosce il bene, come ciò che è esclusivamente suo, e il male come ciò che è esclusivamente non suo. Stolto l’uomo che si illude di essere come Dio perché conosce il bene e il  male. La creatura può conoscere solo per partecipazione, in quanto nulla ha di proprio. Se oltre al bene conosce anche il male, vuol dire che non solo partecipa del bene, ma anche del male. E con ciò ha già perduto lo stato di grazia. Dio ci ha creato perché conoscessimo solo il bene, nell’obbedienza alla voce dello Spirito Santo che si fa sentire al nostro spirito. La salvezza e la vita eterna non consistono dunque in una conoscenza, ma semplicemente in un’obbedienza. La conoscenza appartiene alle categorie dell’anima, l’obbedienza è propria dello spirito, allorché ascolta la voce di Dio. L’obbedienza che viene dall’ascolto è al di sopra di ogni falsa obbedienza che viene dal conoscere e dal comprendere. L’ascolto sic et simpliciter della voce di Dio, quale si esprime alla nostra coscienza, non ha necessariamente un carattere logico, anzi a volte può apparire illogico. Nella sua intima essenza possiamo dire che in quanto collegato direttamente alla persona di Dio, esso ha carattere prerazionale e sovrarazionale, non esclude necessariamente la ragione, ma neppure ne ha bisogno assoluto. Non credi che un subnormale ed un neonato abbia il tuo stesso rapporto con Dio? Sei in errore! E’ un rapporto diverso dal tuo, semplicemente perchè  più immediato, e in quanto tale più autentico. Ma allora perché all’uomo in genere è data la conoscenza del bene e del male, se di per sé è perfettamente inutile e fuorviante? Tutto questo è conseguenza del peccato d’origine; Dio voleva che nel cuore dell’uomo ci fosse soltanto la conoscenza del bene e di Colui che è bene. Ma ora che bisogna tornare indietro, non si può intraprendere il cammino di ritorno se non partendo dal punto di arrivo. Perché ormai la disobbedienza è un dato ed un fatto, così come pure la conoscenza non solo del bene, ma anche  del male e tutto bisogna ricondurre alla Verità. Non ignorando la realtà del nostro essere, ma riportandolo al giusto modo di essere, non distruggendo  la nostra ragione ma riportandola alla vera obbedienza. Perché ormai una testa ce l’abbiamo, come pure un nostro modo di vedere le cose e nulla vale disquisire sulle nostre ed altrui ragioni, ma imboccare una strada diversa: quella dell’obbedienza allo Spirito. La nostra conoscenza non può essere semplicemente eliminata, ma va rieducata, illuminata, guidata, finché non trova il suo essere, fondata in Lui e per Lui. In questo cammino è di fondamentale importanza la Parola di Dio. Essa esprime il punto di vista di una conoscenza superiore che attinge al Creatore solo per guardare alle sue creature. E’ la potenza di Dio che riveste la nostra impotenza. La Parola di Dio assume la forma della parola dell’uomo, per illuminare la nostra mente e per liberarci dalla schiavitù del Maligno… Finché si fa carne nel Cristo,  per essere non solo ascoltata, ma ancor più mangiata. Si può dubitare che la Parola che si ascolta sia un semplice riflesso della nostra parola, perché il Vangelo ognuno lo capisce alla propria maniera. L’Eucarestia ti dà la certezza assoluta che ti nutri di un’altra Parola. Non ti dà una potenza diversa da quella che viene dalla semplice divina lettura: semmai ti conferma e ti rinsalda  in essa. E’ l’ascolto della Parola di Dio, che giorno dopo giorno, riafferma in noi la priorità della voce della coscienza rispetto alla parola della nostra anima. Perché ormai nella nostra vita tutto ruota intorno all’anima, e tutto si vuole e tutto si sceglie conforme ai dettami della nostra anima. Lo spirito appare come sordo e muto. E’ diventato impuro perché non ascolta più solo ed unicamente la voce di Dio: è invaso e saccheggiato dal Satana, che si nasconde sotto le spoglie di un’anima falsa ed ingannevole. Finché questi non è cacciato dalla potenza della Parola di Dio, che smaschera ogni inganno e ci riporta la luce del suo Spirito. Perché noi non siamo capaci di distinguere i sentimenti dello spirito da quelli dell’anima, ma lo può Cristo in noi. Comprendi adesso l’importanza della rivelazione? Certo Dio non ha mai smesso di parlare allo spirito dell’uomo e da sempre è la sua salvezza. Ma quale grazia allorché la sua parola squarcia la sordità dell’orecchio umano e tutti possono intenderlo… anche gli orecchi meno fini. Con la venuta di Cristo tutto è fatto più facile. Ma non è tolto l’onore e la gloria all’uomo che ha fatto la volontà di Dio, pur non sentendola proclamare dalla sua viva voce. Semmai la gloria di Abramo e di tutti i padri è accresciuta e magnificata dal Figlio. Esci dalle secche di un cuore che è schiavo delle proprie ragioni, apri il tuo orecchio all’ascolto della Parola di Dio, così come è proclamata nella chiesa e dalla chiesa. Fuggi lontano dalle ambiguità di un discorso puramente etico: è un soliloquio dell’anima con se stessa. Non è la voce dello Spirito Santo, ma l’inganno del Satana che magnifica la parola dell’uomo, per distoglierlo dall’ascolto di Dio. Rinnega la tua anima, perché essa sia esaltata dal Signore, da lui glorificata e fatta grande come quella di Maria.

Qual è il vanto dell’uomo? E’ escluso… dalla grazia di Dio. Tu che guardi con disprezzo i piccoli e non riesci a cogliere il loro punto di esistenza, cambia rotta e mettiti dalla loro parte. Il piccolo e solo chi è piccolo sente la voce di Dio, colui che è grande è sommerso e assordato dal frastuono delle proprie parole. Grasso diventa il suo cuore, pieno di ogni turpitudine ed immondezza, anche se conosce l’ebbrezza di un dolce sentire. Sorde sono le sue orecchie, anche se tutto legge, tutto ascolta e tutto indaga. Mute diventano le sue labbra, anche se molto parla di verità. Non sparge il seme della vita, ma diffonde intorno a sé il puzzo della morte.

17 Ma se tu porti il nome di Giudeo e ti appoggi sulla legge e ti glori in Dio  18  e ne conosci la volontà e discerni le cose eccellenti, essendo ammaestrato dalla legge, 19 sei convinto poi di essere te stesso guida dei ciechi, luce di coloro che sono nella tenebra, 20 educatore degli irragionevoli, maestro degli infanti, avente la rappresentazione della conoscenza e della verità nella legge.

 Tu dunque ammaestrante l’altro non istruisci te stesso? Tu il predicante di non rubare, rubi? 22 Tu il dicente di non commettere adulterio commetti adulterio? Tu l’avente in abominio gli idoli saccheggi i templi? 23 Tu che nella legge ti glori, per mezzo della trasgressione della Legge  disonori Dio. 24 Infatti il nome di Dio attraverso voi è bestemmiato tra le genti come è scritto

E’ questa l’immagine tipo dell’uomo che ha un rapporto completamente sbagliato con Dio. Paolo non prende in considerazione un  rapporto mancato, come nel caso dell’ateo o di chi dichiaratamente si manifesta contro Dio: questo si giudica da se stesso. Bisogna piuttosto smascherare il Satana là dove si sente più sicuro: non dove si ammanta di tenebre, ma dove si ammanta di luce. Prima della venuta di Cristo quale uomo è più vicino alla luce di chi è Giudeo? E quale dono più grande è stato dato all’uomo della legge mosaica? In virtù della conoscenza della Legge, Israele può ben vantare di “saper discernere ciò che più giova, di essere guida dei ciechi, maestro dei fanciulli, depositario della vera scienza e della verità”.

di avere la rappresentazione della conoscenza e della verità nella legge.  Ciò che è rappresentazione può essere pura finzione quando rappresenta altro dalla verità ed il regista è ben altro che la Verità. Ma per quel che riguarda la Legge, Israele ha ogni garanzia, perché è messa in scena  da Dio stesso,  e coinvolge  Lui stesso, come prima attore. Non è ancora quella conoscenza  che si realizza col Logos che si fa carne e tanto meno, l’eterna visione di Dio. La verità, nella Legge, si manifesta in forma mediata e velata. Non è tutto, ma è molto più di quanto è stato dato alle altre genti. Israele ha ben di che rallegrarsi… Ma  non perché  insegni innanzitutto agli altri, ma perché insegni a se stesso. Falso è il rapporto con la Legge che non mira esclusivamente all’ascolto della volontà di Dio, così come è richiesto ad ognuno hic et nunc. Molti attingono alle Scritture per farsi maestri del prossimo: leggono non per imparare, ma per insegnare. Ascoltano non per obbedire, ma per farsi obbedire. Qualsiasi rapporto con la Scrittura che non è pago di se stesso, ma ha bisogno degli altri, del loro sostegno e della loro approvazione è falso ed ingannevole. Si legge la Parola, solo per meglio comprendere la volontà di Dio e per obbedire in un modo più pronto ed immediato. Chi ama veramente la Bibbia, non si lascia scoraggiare dall’indifferenza e dal non interesse degli altri. La Parola è data innanzitutto per ognuno di noi. E’ il nostro cibo spirituale, ciò di cui non possiamo fare a meno. Nessuno che ha veramente fame pensa di saziare gli altri prima di aver saziato se stesso, perché le sue forze verrebbero meno, prima ancora che egli possa operare alcun bene. Riflettano coloro che hanno la preoccupazione e l’ansia dell’anima altrui. Meglio essere discepoli che maestri, meglio ascoltare che insegnare. Il dono della Parola è dato innanzitutto per ognuno di noi. A nulla ti giova insegnare al prossimo che cosa è volontà di Dio, se poi sei il primo a non metterla in pratica. Ma questa è la condizione di coloro che entrano in un rapporto sbagliato con la Scrittura. La strumentalizzano, per costruire se stessi, in una presunzione di verità e di giustizia che è smentita dai fatti. Perché poi in conclusione dicono e non fanno, pongono dei pesi insopportabili sulle spalle degli altri, ma in quanto a loro neppure li toccano. E tutto si risolve in inutili e sterili chiacchiere riguardo al bene e al male… Ma non si entra in quello spirito di obbedienza che ogni figlio deve al Padre. Sono lontani dal vero quelli che si avvicinano alle Scritture per ragioni puramente culturali. Sono parimenti lontano dal Signore quelli che leggono la Parola per giudicare e non per essere giudicati, per insegnare e non per ascoltare.  Il tempo poi manifesta quel che vale l’opera di ognuno: perché il cuore falso si smaschera e si tradisce da se stesso e voglia Dio non soltanto agli occhi degli altri, ma prima ancora ai propri occhi. Chi più di Paolo ha sperimentato tutto questo? Lui che era primo nell’ascolto della Legge si è scoperto nemico di Dio e persecutore di coloro cha annunciano il Vangelo. Nessun maestro di Scrittura è veramente tale, se non nella confessione del proprio peccato e nell’obbedienza alla volontà di Dio. A nulla vale tirare in ballo il ministero della chiesa e l’abito monastico.

 Infatti il nome di Dio attraverso voi è bestemmiato tra le genti, come è scritto.

Conclusione del discorso amara e tragica: coloro che vogliono esaltare tra gli altri e far risaltare ad altri il nome di Dio, sono i primi ad incitare alla bestemmia e ad alimentare il suo fuoco. Non riusciamo a pensare che ogni bestemmia contro l’Altissimo sia colpa esclusiva di Israele: certo viene ascritta ad Israele allorché presume di una diversità che non gli è data e riconosciuta per il solo possesso delle Scritture.

25 La circoncisione infatti certamente giova qualora tu pratichi la legge; qualora invece tu sia trasgressore della legge, la tua circoncisione è diventata  incirconcisione . 26 Se pertanto l’incirconcisione osserva le prescrizioni della legge, non sarà considerata la sua incirconcisione come circoncisione? 27 E la incirconcisione per natura adempiente la legge giudica te,  trasgressore della legge per mezzo della lettera e della circoncisione. 28 Non infatti il manifestamente Giudeo tale è, né la manifestamente circoncisione nella carne tale è, 29 ma quello in segreto è Giudeo, e la circoncisione è del cuore nello spirito, non nella lettera, di cui la lode non è da uomini, ma da Dio.

La circoncisione è segno di appartenenza a Dio. E’ come un marchio di qualità: una certezza per chi la riceve, ed una garanzia da  chi la dona. Se Dio garantisce per noi, noi dobbiamo garantire per Lui. Nessuno è arruolato nella milizia di un re, senza una investitura ed un riconoscimento ufficiali. Da un lato il Signore si fa garante della  chiamata, dall’altro l’uomo deve promettere obbedienza e fedeltà; non direttamente al suo padrone, ma al Suo codice militare. Chi milita per la terra lo fa nel tempo e per un tempo determinato, chi milita per il cielo lo fa per l’eternità. Non c’è divisa o livrea terrena, che non si possa cambiare o rimuovere in qualsiasi tempo. Non così la circoncisione: è suggellata con un segno indelebile. È un patto per la vita,  non soggetto a pentimento o ravvedimento, pena la morte. Grande è quindi l’importanza della circoncisione: è un dono ed una chiamata:  impegna per sempre chi la riceve, e chi la dona. Il patto non è reciso se non dalla morte di uno dei due testatori.

Chi è arruolato in un esercito lo è solo per grazia di chi lo ha chiamato, ma non si rimane in tale grazia, se non obbedendo ad un codice di comportamento, fatto di leggi e di norme uguali per tutti. Non è ancora la condizione di un figlio, ma è già sicuramente una prima liberazione ed una forma di affrancamento da ben altra schiavitù: quella del Maligno, dove non c’è legge alcuna che ci tuteli e ci garantisca, ma l’assoluto arbitrio del Diavolo che dispone a suo piacimento della nostra vita. A qualcuno piace la vita che viene dal Satana, perché non è soggetta a legge alcuna? Quale garanzia te ne viene, se non quella della morte eterna? La circoncisione è già una novità di vita. Paolo vuol essere chiaro: nessuno può dire che la circoncisione è di per sé inutile. Tutto ciò che è dato e comandato da Dio è buono ed assolutamente necessario. Ma bisogna accogliere il dono nello Spirito di chi dona e farne un uso che sia conforme alla Sua volontà. Nessun dono è dato senza una ragione e senza uno scopo: crea un legame d’amore ed un rapporto diverso. Non si può più ignorare  chi ci ha beneficato, e trasgredire i suoi precetti. La circoncisione ha una sua utilità , se osservi la Legge di Dio. Altrimenti manifesta semplicemente a tutti il tuo tradimento nei confronti del  Signore. Niente di più meschino e di più subdolo di un tradimento consumato sotto le vesti del Signore e della sua Legge. La circoncisione è segno visibile di predilezione divina, ma può anche diventare segno visibile di riprovazione da parte del Signore. Piaccia o non piaccia, il segno rimane, perché i doni di Dio non sono soggetti a pentimento, se non per chi li riceve. : se invece tu sei un trasgressore della legge, la tua circoncisione è divenuta incirconcisione.

Noi possiamo rovinare i doni del Signore: ciò che è segno di benedizione può diventare segno di riprovazione, allorché non facciamo la sua volontà. E’ in questo modo che gli ultimi scavalcano i primi, quando fanno la volontà di Dio, senza essere nel numero dei chiamati. Non c’è amore e fedeltà che prima o poi non vengano riconosciuti ed accolti da Dio. Non basta essere entrati nelle grazie del Signore, bisogna rimanervi. L’amore va custodito e coltivato con gelosia, in tutto compiacendo allo sposo. Non è ancora stato consumato il nostro matrimonio eterno, si può ancora essere ripudiati, perché trovati indegni. Altri bussano alla porta del Signore e tutto operano per essere a Lui graditi. Si diventa popolo di Dio per elezione, ma anche di diritto, allorché si cerca la sua volontà e si ubbidisce alla legge naturale. Gli occhi di Dio vanno oltre le apparenze e vedono e scrutano il profondo dei cuori. Non si può simulare l’amore che non c’è. Non è vero Giudeo colui che tale appare nella carne, ma colui che è trovato tale nello spirito, allorché fa la volontà di Dio, mettendo in pratica le sue leggi.

28 Non infatti il manifestamente Giudeo tale è, né la manifestamente circoncisione nella carne tale è, 29 ma quello in segreto è Giudeo, e la circoncisione è del cuore nello spirito, non nella lettera, di cui la lode non è da uomini, ma da Dio

Cosa si intenda per circoncisione è già detto. Cerchiamo ora di comprendere quale differenza vi sia tra la circoncisione secondo lo spirito e quella secondo la lettera. Non c’è circoncisione della carne che non lasci un segno indelebile, così pure indelebile è il segno di un cuore circonciso. Nessun sigillo interiore è visibile se non per Colui che vede e scruta il cuore dell’uomo. Circoncidere significa tagliare tutto intorno, togliere ciò che è impuro, non pertinente alla vita. E’ un’operazione benefica che libera e salva. Si può circoncidere la carne usando strumenti diversi, ma in quanto al cuore non si opera e non si agisce su di esso, se non attraverso le vie della parola. La parola si manifesta in forme diverse: come voce, come suono, come segno o lettera. E’ fuori discussione che la circoncisione della carne è figura e simbolo di quella del cuore. Questo ben lo comprendevano anche i Giudei. Quello che non tutti volevano comprendere è che la circoncisione della carne non necessariamente è circoncisione del cuore. Non solo, vi è pure una circoncisione del cuore che è solo in superficie, non entra in profondità e non rende diversi se non in apparenza. E’ quella che Paolo chiama circoncisione secondo la lettera. La lettera rappresenta l’aspetto formale della parola, è portatrice di un significato e di un messaggio. Non necessariamente accogliendo una lettera accogliamo anche la persona che l’ha inviata. Chi scrive una lettera ci dà indicazioni precise riguardo a questa o quella cosa, questa o quella persona. La lettera che ci è donata da Dio, evidentemente riguarda solo noi ed il nostro bene. Essa ha il nome di Legge e ci dice che cosa dobbiamo fare per essere graditi ed accetti a Dio, ci illumina sul nostro stato e manifesta la nostra condizione di peccatori. Per l’uomo è già un primo bagno purificatore, è un primo incontro con Dio, ma in forma impersonale, sotto le sembianze del segno scritto. Chi riconosce la bontà di una lettera riconosce anche la bontà di chi l’ha scritta ed è stimolato ad una conoscenza più viva ed immediata del Signore. Tutto questo evidentemente non è possibile se non quando il Signore si fa carne e si fa conoscere di persona, parlando al cuore di ognuno, non più in forma mediata come nella Legge, ma in forma immediata. In virtù del dono del suo Spirito la  Parola si fa a noi presente non semplicemente come segno o suono, ma come voce. “Le mie pecore conoscono la mia voce”. Gesù ci riporta all’ascolto della voce di Dio, in maniera immediata, e tutto questo perché il suo spirito è venuto ad abitare in mezzo a noi. La venuta del Salvatore sulla terra non vanifica la Legge e le sue prescrizioni né quel rapporto che si era già dà tempo instaurato con Israele, suggellato dalla circoncisione. Semmai tutto questo trova il suo adempimento e la sua pienezza.

L’incarnazione del Verbo cade in un tempo determinato, ma la grazia che ne viene giunge ad ogni tempo: ha un significato storico, ma anche metastorico: investe il dopo, ma anche il prima. In virtù del sacrificio di Cristo, ad ogni creatura è data la possibilità di un rapporto immediato con Dio: non a tutti tramite la viva voce del Messia, ma a tutti tramite la voce di una coscienza, malvagia in sé e per sé, ma buona nel suo essere rivisitata dal Salvatore, nella misura in cui si lascia da lui giudicare e ricreare. Ma allora se, in virtù di Cristo, a tutti gli uomini di ogni tempo è offerto questo dono e questa possibilità, perché il Signore ha dato ad Israele la Legge, così come è codificata attraverso la lettera? Non è un passo indietro rispetto a quel rapporto immediato con Dio che segue la vie di un ascolto della voce della coscienza? Per comprendere dobbiamo ripercorrere a ritroso la storia della salvezza. Dopo il peccato di Adamo il cuore dell’uomo si indurisce sempre di più nella sua capacità e volontà di ascolto della voce di Dio. E questo giustifica storicamente un intervento del Signore che vuol parlare all’uomo non più soltanto e semplicemente in forma immediata, tramite la voce della coscienza, ma anche in forma mediata, tramite una parola rivelata, incisa su pietra. E non più e non soltanto a livello del singolo,ma di un intero popolo. Ma bisogna prima gettare le basi e creare i presupposti, definire tempi e momenti e scegliere i destinatari. E’ così che la fede di Abramo esce dalla notte dei tempi e viene posta da Dio come un modello: per la sua gente prima, per tutte le genti dopo. Non solo: Dio individua nei  discendenti di Abramo il popolo eletto destinato a beneficiare del suo intervento. Tutto questo dovrà essere codificato attraverso la parola scritta, perché rimanga nella memoria dei posteri e sia monito ed esempio per tutti gli uomini. Come l’opera di Dio in Abramo è stato un segno per il popolo da lui nato, così il popolo eletto sarà un segno per tutte le genti. Il Signore vuole dare una apparenza più grande a quella predilezione divina che finora si era manifestata come piccola, perché tutti gli uomini sappiano e conoscano il nome del Signore. Se l’elezione di un singolo può passare inosservata ed essere conosciuta soltanto dai suoi vicini, l’elezione di un popolo si pone davanti agli occhi dell’intera umanità. E’ un richiamo ed una scossa salutare per tutti. Non a caso poi l’elezione ricade su di un popolo nomade per sua natura e destinato alla dispersione tra le genti per volontà divina. Perché tutti gli uomini sappiano e conoscano ciò che Dio ha operato in Israele. Con Abramo la parola scritta assume connotati storici ben definiti. Esce da una tradizione orale per lo più di tipo allegorico, in cui fatti, eventi, personaggi, sono semplicemente in funzione di un insegnamento. Abramo è personaggio storico in tutto e per tutto e di lui si parla e si scrive così come storicamente è stato rivelato e conosciuto dal suo popolo. Ma perché un simile opera? Non poteva il Signore rinforzare il suo intervento a livello della coscienza semplicemente alzando, per così dire, il tono della sua voce, così come si fa con i sordi e con coloro che sono di dura cervice?

Una simile operazione percorre unicamente le vie dello spirito, perché non vi è capacità e volontà di ascolto se non per lo spirito. Ma lo spirito dell’uomo è posto come libero davanti a Dio, non è passibile di forzature da parte del Signore, se non in misura limitata ed in modo indiretto attraverso quelle dimensioni dell’uomo che libere non sono. Dio non può esercitare alcuna pressione sulla volontà dell’uomo se non attraverso le vie dell’anima. L’anima in quanto creato dal nulla è agita dalla volontà di Dio, non gode di libertà assoluta, e può essere fatta oggetto passivo dell’intervento divino. In quest’ottica va inquadrato  e compreso il dono della Legge. La Legge scritta è rivolta alle facoltà razionali dell’uomo, è guida e luce dell’intelletto, perché conosca  il proprio peccato e riconosca il proprio stato e faccia presente allo spirito come stanno realmente le cose. Porta con sé una prima circoncisione del cuore ( dello spirito dell’uomo ) , quella che Paolo chiama della lettera, ma deve concludere nell’ascolto della voce di Dio, così come si manifesta col Cristo. E’ questa la circoncisione che Paolo chiama del cuore, quella purificazione dello spirito che si ottiene soltanto in virtù dell’ascolto, così come è dato dalla fede in Cristo. E’ chiaro dunque che la Parola rivelata dell’Antico Testamento rappresenta nella sua chiarezza un più rispetto alla coscienza che è sorda alla voce di Dio, ma è un meno rispetto alla coscienza che ode la voce del Signore. Non si tratta di due realtà contrapposte, ma diverse e complementari. La Legge rinforza la capacità di ascolto della voce, l’ascolto della voce getta nuova luce sulla Legge, l’arricchisce di significati sempre diversi e sempre più profondi. L’ascolto della voce è una garanzia per il singolo, l’ascolto della Legge è una garanzia per l’intera comunità. Chi ha ricevuto La Legge non è rinforzato nella sua capacità di ascolto semplicemente dalla propria coscienza, ma da tutte le coscienze che seguono la medesima Legge. La Legge scritta scavalca la durezza delle coscienze individuali e pone ognuno di fronte ad una volontà di Dio obiettivamente determinata e manifestata, che smaschera ogni coscienza ad essa difforme. Certo il Signore si trova in maniera piena soltanto nell’interiorità del proprio io, ma quando questa interiorità è macchiata e sorda alla voce di Dio, Dio si manifesta e parla al singolo, ponendosi al di fuori di lui, parlandogli non a livello individuale, come un padre fa con i suoi figli, ma rivolgendo la sua parola a tutta la sua famiglia. Il messaggio corre di bocca in bocca, di cuore in cuore, trova una sua centralità all’interno della comunità che vive ed opera in esso, approfondendo il suo significato e facendone parte a tutti i propri membri. Nessuno può rifugiarsi nei meandri del proprio cuore e giocare sull’ambiguità del proprio ascolto. Ciò che Dio vuole per tutti ed ognuno è ora ben chiaro e ben definito, i suoi precetti sono scritti dal dito stesso del Signore e gelosamente custoditi dal suo popolo su tavole di pietra. Certamente è un passo indietro rispetto alla Parola che si fa sentire come voce della coscienza, ma è un passo avanti per la coscienza che è sorda a questa voce. Se la coscienza non va a Dio per la via diritta, Dio viene alla coscienza in altro modo. Parlando non in maniera immediata, ma mediata da una Legge scritta. Abbiamo detto che è questa la circoncisione del cuore secondo la lettera. Certamente un dono ed una grazia di Dio, un segno di predilezione divina, ma sbaglia Israele allorché pensa che la storia della salvezza sia con questo conclusa a beneficio del solo popolo eletto, con esclusione di tutte le genti. Bisogna arrivare alla fede in Cristo. E’ un errore identificare un cammino dato in esclusiva ad Israele con la salvezza che è data a tutti gli uomini.

La Legge è utile se viene osservata, ma allorché viene trasgredita non è motivo di vanto, ma di vergogna. Neppure basta un adempimento puramente formale se non si arriva al rinnovamento interiore dello spirito, come è dato dalla fede in Cristo. Non si può considerare la Legge indipendentemente dal fine e dallo scopo per cui è stata data. Smascherata la falsa presunzione di chi è semplice portatore e beneficiario di un dono, Paolo va oltre. Se anche fra i pagani incirconcisi troviamo degli uomini che osservano i dettami della Legge, ciò vuol dire che tale dono non è poi così esclusivo di Israele. Ciò che è esclusivo di Israele è una certa forma della Legge, storicamente determinata e definita per volontà di Dio. Ogni uomo possiede in sé una legge, che viene dal Signore. Possiamo chiamarla legge naturale, per distinguerla da quella rivelata, ma è un dato ed un fatto che possiamo verificare ogni volta che un pagano incirconciso mette in pratica i  dettami della Legge mosaica. Chi adempie i comandamenti di Dio pur non essendo ebreo, dimostra con ciò che tali dettami sono parte integrante della sua natura razionale, non sono esclusiva di alcuno, ma sono dati a tutti. Non cambia la sostanza delle cose, ma soltanto la forma. Ma allora è del tutto inutile e privo di significato il dono della Legge? Dopo aver dato al suo popolo l’amaro, Paolo dà il dolce. L’elezione di Israele non va travisata e sopravalutata, ma neppure si deve minimizzare la sua importanza. Che cosa c’è dunque di più per il Giudeo?

 

 

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